13 libri da leggere sotto l’ombrellone

Tra un cocktail al tramonto, una playlist musicale e un tuffo al mare, trova anche il tempo per leggere…

Le Parche Edizioni

Libri sotto l'ombrellone

I minori, vittime di abusi sessuali 3 Parte Cenni storici.

La pedofilia era molto diffusa nell’epoca classica ad Atene e a Sparta.
La pederastia, tra il VI e il IV sec. a.C., consisteva in una relazione sessuale tra uomini e adolescenti. Questo rapporto si basava sul concetto di iniziazione spirituale e pedagogica. Attraverso la continuità dell’insegnamento e l’unione sessuale il maestro insegnava le virtù del cittadino modello, «con la sodomizzazione, probabilmente perché si reputava che le virtù virili fossero trasmesse attraverso lo sperma dell’amante, o forse perché, trattandosi di un atto che umilia, simboleggiava la sottomissione del giovane al più anziano per essere ammesso nel gruppo dei detentori del potere, era considerata parte del processo di formazione dell’uomo adulto». La passività del giovinetto, la sua «offerta fisica», erano l’unico modo per ripagare e ringraziare il maestro dei suoi insegnamenti e della trasmissione della conoscenza, del sapere. Anche se la pederastia era libera e permessa dalle leggi del tempo, il rapporto sessuale tra un giovinetto e un adulto non era immediato, ma sottostava a delle regole ben precise. Il ragazzo doveva ad esempio essere pubere, la sua età infatti non doveva essere inferiore ai 12 anni. Ovviamente le congiunzioni carnali avvenivano anche con bambini molto più piccoli, ma non si incorreva mai in grosse sanzioni.
A Roma invece i giovani erano educati sin dalla più tenera età ad essere dei dominatori e quindi anche la sessualità era investita degli stessi principi.

La pudicizia romana non consentiva il rapporto omosessuale tra persone
libere. Quest’ultimo, infatti, era lecito solo con gli schiavi, poiché anche le
espressioni della virilità, per le quali a Roma non vi era limite, dovevano
dimostrare il potere di Roma e il sangue dominatore romano. È al periodo
repubblicano che risalgono le prime vere e proprie norme giuridiche sulla
materia. La legge romana che, come testimoniano Cicerone, Svetonio e Tertulliano,
era particolarmente attenta all’adolescente libero, puniva duramente
la pederastia. Essa, tuttavia, non riuscì ad impedire tale pratica, divenuta consueta
nei costumi, grazie agli influssi della cultura greca. Ciò trova conferma
nella stessa lirica e prosa romana. A partire dal III secolo d.C., possono dirsi
quasi del tutto venuti meno i legami con la cultura della Grecia classica.
Dopo Giustiniano infatti, ogni forma di omosessualità sarà bandita. Ora è la
dottrina cristiana a dettare norme di comportamento. Essa è assai feconda
nella materia sessuale ed impone rigidi limiti e proibizioni.

Durante il Medioevo, la pedofilia troverà un’altra istituzione sotto la quale poter continuare a vivere: l’usanza dell’apprendistato presso le botteghe di artigiani. Intorno agli 8, 10 anni il bambino lasciava la sua famiglia d’origine per andare a vivere e a lavorare con il suo maestro. Qui non era iniziato solo al lavoro, ma anche al sesso. Viveva infatti nella promiscuità dell’ambiente e il ruolo svolto all’interno dalla «famiglia d’adozione» che andava dal comportarsi come figlio all’essere un servo, facilitava gli approcci sessuali. Il bambino veniva sfruttato nel lavoro e considerato come una merce da utilizzare per soddisfare qualsiasi tipo di voglia. Tutto era perfettamente lecito perché l’affidamento era stato voluto dai genitori naturali.
Anche per quei bambini che finivano nelle botteghe degli artisti del tempo, la situazione era la stessa, anzi l’estetica, di importanza fondamentale soprattutto per i pittori, gli umori e le sensazioni, erano tutti elementi che contribuivano all’avvicinamento fisico e quindi al sesso. Un certo disagio però doveva esistere nella seconda metà del ’600. Si incominciò a guardare con sdegno questo tipo di abitudini e, proprio alla corte di Francia, nacque una letteratura pedagogica per indirizzare e facilitare genitori ed educatori a salvaguardare l’innocenza infantile.

Si raccomandava di non far dormire più bambini nello stesso letto, di evitare
di coccolarli, di sorvegliare le loro letture, di non lasciarli soli con i domestici.
Si incominciava a temere che certe licenze e certi linguaggi potessero
travalicare i confini del gioco e lasciare delle tracce negative nella psiche
ancora in formazione. Nell’Inghilterra vittoriana e puritana (1848-86) in altri
versi, il timore del sesso portò ad adottare misure molto più restrittive,
mentre nell’ancien regime erano molto esposti alla sessualità e agli approcci
degli adulti, anche se c’è sempre stato, in ogni periodo storico, chi condannava
la promiscuità sottolineandone ora l’immoralità ora i possibili contraccolpi
negativi per i più piccoli, che non potevano sottrarsi ai desideri ed alle
molestie degli adulti.

Federica Farre

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Leggere il libro di Dora Buonfino, “Le mie pagliuzze“, è una carezza per le anime ferite, come ci spiega l’autrice in una delle sue presentazioni:

“Non troverete una vittima che vi chiede aiuto, che vi responsabilizza ordinandovi di prendervi carico della sua vita. La protagonista vi mostra tutta la sua forza e nel raccontarvi vi rincuora, vi prende per mano e vi protegge. Non è causare dolore il mio intento, ma mostrare la consapevolezza che mi ha sempre sorretto. Non chiedo battaglie, prese di posizione, imponendo un carico insopportabile, né vi farò sbirciare nel mio vissuto come voyeur d’occasione. Questo libro va oltre l’abuso, perché vi aiuterà a guardarvi dentro prendendo in considerazione le vostre debolezze, ma anche le vostre potenzialità, indicandovi il modo per amarvi e divenire più forti.”

Le mie pagliuzze

Le mie pagliuzze finale

“Due passi insieme” di Chiara Zammarchi

Il cammino riporta le persone alla semplicità, le costringe alla frugalità, ogni passo è un invito a ripensare alla scala dei valori. Lo zaino diventa il simbolo del fardello che dobbiamo portare sulle spalle nella nostra vita quotidiana, di come i beni materiali da cui non vogliamo separarci diventino un peso. Svuotare lo zaino, regalare un indumento, un paio di scarpe che ci pesano, lasciarlo in un ostello a disposizione di chi ne ha bisogno, diventa un gesto liberatorio, che dà immediato sollievo alle nostre spalle, che rende il nostro passo più lieve.
La condivisione, l’empatia, la solidarietà, lungo un cammino smettono di essere parole e diventano uno stile di vita quotidiano, una necessità. Lungo il sentiero si costruiscono amicizie profonde nel giro di pochi chilometri, con dinamiche impensabili nella vita di tutti i giorni. Amicizie che spesso proseguono per anni dopo la fine del viaggio, anche se ci si trova in nazioni diverse. Per questo, e non solo per questo, tante persone oggi si mettono in cammino.

“Il cammino di Santiago di Compostela è una cronaca emozionale che racchiude in se la forza e la bellezza di un’alba. In chi lo compie, si manifesta il bisogno di ritrovare il senso profondo della propria esistenza, che spesso la vita quotidiana, con il suo ritmo incessante, dimentica o, con le mille attività e i diversi impegni, frantuma. Nello stesso tempo, durante il pellegrinaggio, si rinnova il desiderio di aprirsi a orizzonti più ampi di quelli che i nostri occhi vedono. Il pellegrinaggio quindi, come ogni cammino, è un itinerario di liberazione e un naturale processo di espansione. Lungo il cammino, le debolezze del corpo, le sue fragilità, le sue piaghe e le asperità della strada, si mostrano in piena luce, con pudore e semplicità. La stessa cosa avviene per le debolezze dell’anima, dell’essere umano completo. Più che altrove, o in circostanze diverse, la lontananza dalla propria casa o l’assenza di barriere abituali permette alla parola di ritrovare libertà, spogliandola da schemi e sovrastrutture.”

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“Giudizio Universale” di Giovanni Carullo

Prossimamente, novità molto interessante di questo mese, pubblicheremo il libro di Giovanni Carullo, “Giudizio Universale“, e vi facciamo leggere una parte della prefazione, scritta da Rita Gemma Petrarca, per introdurvi al tema:

La creazione, minuziosamente narrata dall’autore, parte dalla discesa agli inferi dellInferno dantesco, per incontrare la debolezza di Dante, in un incipit particolarmente infuocato. Tutto comincia da qui, vestendo i panni dell’Occhio Universale Virgiliano. È qui che ha inizio il difficile viaggio introspettivo dell’autore, partire dalla debolezza del peccato, dalla vanità di Lucifero, e cercare a tutti i costi di non essere subordinato; cercare quella perfezione che solo Dio può avere e che l’uomo cerca di rincorrere, con tutti i suoi mezzi. Viaggio che, al giovane autore e poeta, attraverso stadi di elevazione lo porta a superare le difficoltà e la sofferenza, verso la crescita personale, libera da condizionamenti e convenzioni, per riuscire a stare bene con se stesso e proiettarsi attraverso la ricerca dell’Armonia, con la consapevolezza di operare il cambiamento e il ribaltamento degli stati tossici e delle contaminazioni ambientali. Un viaggio, per assurgere al riscatto della propria identità personale.

“Là, dove le stelle smettono di esistere, c’è chi è più grande anche di Dio…”

Recitano i versi dell’autore, è lì che s’incontrano il Tempo e lo Spazio e dove si prefigura la terza dimensione: quella Umana. È qui, la profondità della sua incessante ricerca verso la Genesi del Creato. La forza energica dell’Io, spiega come Dio fosse preoccupato e molto addolorato che i suoi stessi figli fossero destinati a tali cipigli.

Stei per chiedere al maestro con timore

cosa le fosse stato quel tremore…

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La lugubre figura di Acerbugna

e il potere e li sostegni mi fu tardo…

La forza di Dio, con la sua sapienza, con l’amore, di cui empio è il suo cuore, porta alla salvezza del Creato e delle creature degne. L’ode a Dio, che l’autore aspetta di incontrare e che incontra alla fine del suo viaggio in un abbraccio paterno, dove l’angelo ribelle è finalmente stretto nelle gabbiachele e l’angelo donna, Acerbugna, finalmente viene a se riportato, lo induce a fare la sua acuta riflessione:

“Meglio sentirsi soli davvero, che soli in compagnia…”

Volare con l’intelletto è la massima aspirazione della libertà umana.

Intanto la storia ripete il suo canto,

l’ego rimane, cambia solo il manto.

Il sogno dell’infanzia è caduto,

il cuore degli uomini è diventato muto.

Rita Gemma Petrarca

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I minori, vittime di abusi sessuali. 2 Parte Le origini dell’abuso.

I comportamenti di abuso sessuale su minori sono sempre esistiti, in ogni contesto culturale e in tutte le epoche. In Italia gli studi concernenti l’abuso sessuale minorile si sono sviluppati solo da poco tempo, mentre in altri paesi si riscontrano documenti ed aggiornamenti interessanti riguardanti i diversi aspetti di questo fenomeno. Non è infatti un fenomeno strettamente legato alle cosiddette «società complesse» e soprattutto non è frutto della modernità, ma testimonianze storiche dimostrano che «la violenza ed i
comportamenti aggressivi nei confronti dei minori sono manifestazioni
costanti e costituiscono un fenomeno sempre esistito».
L’abuso sessuale non può essere, dunque, definito come un male moderno, anche se solo negli ultimi anni si è cercato di imprimere una sorta di forza dal punto di vista giuridico-legislativo.
Già nel 1962 uno dei primi studiosi ad occuparsi degli abusi sui bambini
è stato il pediatra nordamericano H. Kempe, che si è soffermato non solo su abusi sessuali o sfruttamento lavorativo, ma «anche sul maltrattamento psicologico, l’incuria, l’abbandono, la trascuratezza alimentare, scolastica e sanitaria e l’abuso sessuale nei casi di pedofilia, pornografia, atti di libidine, prostituzione, rapporti sessuali devianti».
Ai nostri giorni e nelle società maggiormente progredite si va affermando una presa di coscienza su tale fenomeno, una sorta di «consapevolezza collettiva» dell’esistenza di abusi sessuali sui minori e del loro coinvolgimento psicologico ed emotivo, nonostante ancora oggi vi sia molta reticenza ed omertà, in particolare nell’ambito delle famiglie che, per una sorta di pudore, non denunciano tali violenze.
Per meglio comprendere il significato del termine abuso, si ritiene utile
accennare alle possibili definizioni considerate dal punto di vista psicologico e sociologico. Nell’approccio psicologico, infatti, i comportamenti pedofili fanno punto riferimento ad un modello teorico sperimentale utilizzando il riflesso automatico indotto per il tramite di uno specifico stimolo. Si tende così ad ampliare la definizione, facendo rientrare nella casistica anche quegli atteggiamenti che non sfociano in un vero rapporto sessuale, ma prendono in considerazione il comportamento e l’atteggiamento dell’adulto che viene stimolato da immagini e fantasie di soggetti in età adolescenziale e prepubere. È una dimensione prettamente soggettiva del comportamento dell’adulto, anche se a volte tende a verificarsi in una dimensione soltanto potenziale.
Una definizione più strettamente sociologica del fenomeno, invece, deve partire dall’analisi etimologica del termine: «l’origine infatti è greca, e la parola pedofilia deriva da pais (bambino, infante) e phileo (amare), amore per i bambini quindi». Un importante aspetto da evidenziare è che esiste una sostanziale differenza tra pedofilia ed abuso sessuale: nel primo caso può non determinarsi un atto sessuale concreto con il minore; mentre nell’abuso c’è un coinvolgimento erotico vero e proprio da parte del soggetto prepubere.
Si può facilmente intuire quindi che la rilevazione e l’accertamento di un fatto di abuso sessuale è operazione estremamente complessa, soprattutto perché sussiste tra gli interpreti molta incertezza su cosa debba intendersi per abuso sessuale. Del resto è difficile delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, specie in una materia come questa, condizionata fortemente da inclinazioni soggettive e dove la linea di demarcazione è molto sfumata. Di fondamentale importanza è porsi la domanda su che cosa possa essere correttamente definito come comportamento abusante nei confronti di un minore. Anche se nella sfera emozionale può sembrare che non vi debbano essere dubbi in proposito, non è certo un caso che gli esperti ancora dibattano sull’estensione di tale definizione, sia in merito agli atti commessi, sia in merito al tipo di relazione intercorrente o meglio, che dovrebbe intercorrere per rientrare nella sfera degli abusi, tra abusante ed abusato.

Federica Farre

Le mie pagliuzze finale

Le mie pagliuzze

Dora Buonfino

“Ritmi del Cuore” di Pictor Petrus (Pietro Scoppetta)

Oltre ad eccellere nell’attività pittorica, Pietro Scoppetta fu anche poeta. Sotto lo pseudonimo di “Pictor Petrus” pubblicò nel 1919 a Napoli la raccolta “Ritmi del cuore”. Il filone guida dell’opera è lo struggimento d’amore, riflesso letterario di un vero amore che l’artista coltivò in età già avanzata per una giovane allieva.

Amalfi, 15 febbraio 1863 – Napoli, 9 novembre 1920.

Dedicatosi inizialmente agli studi di architettura, li abbandonò per formarsi artisticamente sotto la guida di Giacomo Di Chirico. Residente a Napoli, a partire dal 1891, ebbe occasione di vivere in un clima di forti movimenti di evoluzione culturale, coincidenti con il mutare della fisionomia urbana a seguito del controverso Piano di Risanamento voluto dai Savoia. Da un lato, infatti, si assisteva alla creazione di nuovi quartieri abitativi e dall’altro alla costruzione di opere pubbliche di grande impatto, come la Galleria Umberto I e il Palazzo della Borsa. In questo contesto, Pietro Scoppetta si mosse abilmente, dando prova di grande talento soprattutto nella rappresentazione della natìa costa di Amalfi e della Valle dei Mulini. Con le sue opere partecipò a diverse esposizioni della Società Promotrice di Napoli. L’attività della città si esprimeva anche nella nascita di eleganti punti di aggregazione culturale, quali il café-chantant Salone Margherita e il Caffè Gambrinus, che divennero presto punti di riferimento della Belle Epoque napoletana. Proprio il Gambrinus gli fornì un’importante occasione per mostrare le proprie capacità, quando nel periodo 1889-1890 fu chiamato ad affrescarne le volte con altri pittori di punta dell’ambiente napoletano dell’epoca (Luca Postiglione, Vincenzo Volpe, Edoardo Matania, Attilio Pratella, Giuseppe Alberto Cocco, Giuseppe Casciaro, Giuseppe Chiarolanza, Gaetano Esposito, Vincenzo Migliaro, Vincenzo Irolli e Vincenzo Caprile).

Come altri artisti precedenti e contemporanei, che accanto all’attività pittorica principale svolgevano una professione alternativa, lavorò come illustratore per le riviste la “Cronaca partenopea”, “La tavola rotonda” e “l’Illustrazione Italiana”, operando alle dipendenze della casa editrice Treves. Nonostante il successo commerciale e di critica che lo portò ad avere in qualità di estimatori delle sue opere il Re Umberto I e il Principe di Sirignano, Scoppetta decise di lasciare l’Italia alla volta dell’estero e soggiornò a lungo a Londra e a Parigi. Nella capitale francese, dove dimorò tra il 1897 e il 1903, si inserì nella folta schiera di pittori partenopei, attratti dalle suggestioni borghesi della Belle Epoque, tra cui ricordiamo Lionello Balestrieri, Arnaldo De Lisio, Ulisse Caputo, Raffaele Ragione e Vincenzo La Bella, e entrò a far parte del filone di artisti italiani filoimpressionisti, dei quali fu grande precursore Giuseppe De Nittis. Dall’esperienza francese trattenne elementi importanti dell’impressionismo, che fece confluire e amalgamò nella sua tecnica pittorica con le tinte vivaci della scuola napoletana. Il periodo parigino vide anche un netto cambiamento dei soggetti dei suoi dipinti. Abbandonate, infatti, le rappresentazioni paesistiche che ne avevano caratterizzato la carriera precedente, si rivolse alla rappresentazione della vita borghese, nella quale individuava gli elementi di ottimismo e di tensione al futuro che più si addicevano alla sua indole. Dopo il 1910 lasciò Parigi per Roma, dove frequentò a lungo l’abitazione dell’amico Pietro Carrara e di sua moglie, la marchesa Maria Valdambrini. Alla sua morte, la Biennale di Venezia del 1920 gli dedicò una sala personale dove furono esposti trentacinque dipinti.

Ritmi del Cuore

Ritmi del cuore

Questa raccolta fu pubblicata nel 1919 dalla casa editrice “L’Editrice Italiana” di Napoli e il testo originale è conservato nella Biblioteca di Montevergine. L’editore dell’epoca, nella sua prefazione, scrisse:

“Dieci anni or sono, quando colui che mal si cela sotto il nome di Pictor Petrus aveva minor peso di anni e maggior messe di sogni, furono per caso scritti questi versi d’amore. Li ha tratti a viva forza l’editore, dalla polvere sotto cui l’artista seppellisce le tele sbiadite, ed eccoli a voi, o lettori, nella loro semplicità fine e sensibile. M’accuserà l’amico Petrus di furto? Prometeo per riscaldare gli uomini rubò ai numi il fuoco; per riscaldare il suo pubblico l’editore ha, senza rimorso, rubato quest’opera di poesia”. 

L’Editrice Italiana

Napoli – 1919

“La mia cucina” Vol. 1 e Vol. 2 – Laura Parise

“Cucinare, oltre che una passione, è un gesto d´amore verso i propri cari, ma anche e soprattutto per la propria gola. Presentando un piatto nuovo, anche se preparato con cura, si attende sempre con trepidazione il verdetto dei nostri commensali e in caso negativo meglio non scoraggiarsi, le critiche aiutano a migliorare e… bisognerà riprovarci, cercando di perfezionare il nostro piatto con delle varianti. Chiaramente molto spesso ci si confronta con gusti opposti e non è detto che sempre e comunque possa andare bene: quello che al nostro palato ha un gusto sublime non può necessariamente risultare gustoso per chi siede alla nostra tavola. Anche l´occhio vuole la sua parte e disporre con una certa fantasia i vari cibi nei piatti è già la prima grande prova da affrontare. Lo stesso cibo disposto con cura o versato a caso, avrà effetti opposti su chi è chiamato a giudicarlo e presentare un piatto con un pizzico creativo può essere già il primo passo verso il successo. Io con l´andare del tempo ho adeguato parecchi piatti al palato dei miei cari, manipolando le ricette per adattarle alle nostre esigenze, di conseguenza, è probabile che troviate ingredienti o passaggi diversi da quelli a cui siete abituati. Amo preparare manicaretti e mi destreggio in cucina tra varie pentole e padelle, anche contemporaneamente, senza per questo accumulare fatica o stress, perché ogni cosa che preparo, è cucinato con passione. Cucinare non deve per forza essere fonte di stress, metteteci amore in quello che fate e vi accorgerete che può anche essere rilassante: i complimenti ricevuti a fine pasto sono il miglior toccasana per la fatica e l’autostima. Devo essere sincera, non sempre sono stata una grande amante del cibo: nei primi sei anni di vita ho fatto disperare mia madre perché nulla mi piaceva, poi un giorno ho scoperto le gioie della tavola e ahimè ho iniziato anche a prendere qualche chilo. Da ragazzina non mi era permesso avvicinarmi ai fornelli: potevo assistere soltanto alle preparazioni della nonna e della mamma, ma niente più e le poche volte che sono riuscita a eludere la sorveglianza ho creato dolci, che adesso mi farebbero inorridire. Crescendo e diventando adolescente ho lasciato volentieri quel compito ad altre persone, in casa non era richiesta la mia abilità culinaria, però… c’era qualcosa che mi era concesso fare: la pizza! In quello ero la specialista di casa e nessuno riusciva a eguagliarmi. La vera passione per la cucina è nata in me dopo aver iniziato a convivere con mio marito, da allora, tra esperimenti catastrofici e piatti deliziosi, è stato un crescendo di consensi, non soltanto in famiglia e con gli amici, ma anche con persone estranee, disposti anche a pagare per mangiare i piatti da me cucinati. Quasi per gioco ho accettato di occuparmi di una mensa dove tutti i giorni servivo dai quindici ai venticinque pasti occupandomi di tutto, dal menu alla spesa, per poi terminare nell’esecuzione delle pietanze. In seguito ho proseguito con i miei colleghi d’ufficio e una volta alla settimana cucinavo per loro. L´idea di questo libro è nata quando i miei figli mi hanno chiesto di raccogliere per loro tutte le mie ricette, per poter, una volta volati via dal nido, continuare ad assaporare quei piatti che li hanno accompagnati nella crescita, ma nello stesso tempo poter tramandare un giorno anche ai loro figli qualcosa che hanno imparato dalla loro mamma. Questa è senza dubbio la più grande soddisfazione che si possa provare: sapere che i tuoi ragazzi, che hai nutrito con cura e amore, desiderano tramandare la stessa cura e lo stesso amore di cui son stati circondati”.

Laura Parise

La mia cucina Vol. 1

La mia cucina 3

La mia cucina Vol. 2

La mia cucina Vol. 2

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