Regala un libro per Natale…

Perché quest’anno non regali un libro?

Un libro è un viaggio… e probabilmente questa frase l’avrai sentita milioni di volte, ma se ti è capitato nella tua vita di fare dei viaggi indimenticabili, sai a cosa mi riferisco. Quando torni, hai scoperto qualcosa in più di te stesso, che magari neanche ti piace, ma ora ti conosci meglio. Hai incontrato persone nuove, che ti hanno fatto vedere un altro modo di essere e di vivere. Provato emozioni, anche forti, attraverso i protagonisti. Un’esperienza vera e propria…


I libri sono ponti ostinati: uniscono, creano legami.
(Giuseppe Avigliano)

Noi ti consigliamo di “sbirciare” tra i libri che pubblichiamo, di approfondire i temi proposti e trovare quello giusto da regalare alle persone che ami… https://www.leparchedizioni.com/shop

Stefano ha ventotto anni e vive a Sant’Anastasia, un paese in provincia di Napoli ai piedi del monte Somma. È una personalità speciale, anche se lui si definisce un coglione, con un futuro non proprio roseo e poca volontà di riscatto. Nato con la “camicia”, per un grave errore fatto dieci anni prima si ritrova adesso a doversi dividere dall’essere sarto di mattina e batterista di sera. Vive con Piermatteo, un grande amico che sarà il suo ironico angelo custode. Si innamorerà ed avrà una strana ma intensa storia d’amore con Claudia, una insegnante di ventuno anni più grande, che lo porterà in poco tempo a cambiare, credere di più in se stesso…

Se c’è un elemento che più di ogni altro segna malinconicamente la vita di molti esseri umani, questo è il rimpianto, ossia il ricordo, spesso struggente, di occasioni mancate o di cose e persone perdute. Tino Sicca, protagonista del romanzo, mostra l’intelligenza e l’umiltà di vivere con attenzione l’occasione che si presenta e a suo modo conquista una meritata serenità. Accade lo stesso a Laura, che riesce coraggiosamente a curare le ferite che la vita le ha inferto e a mettere al riparo le sue aspirazioni e i suoi sentimenti…

Tutto quello che, generalmente, si conosce sulla festa di Piedigrotta deriva da un’immensa letteratura. Si può dire che, dal ‘600, fino quasi ai giorni nostri, non c’è stato storico, viaggiatore o cronista che, scrivendo della città di Napoli, non abbia lasciato una qualche notizia, o osservazione, su quell’evento. Testimonianze che risultano presenti in un numero incalcolabile di ricordi di viaggio, storie e opuscoli sulla canzone napoletana, opere specifiche, descrizioni, considerazioni e articoli di giornale. Dai più antichi documenti storici finora pervenuti, si evince che il Santuario mariano, principale luogo della festa, sarebbe stato mèta di pellegrinaggio dei sovrani di Napoli fin dall’epoca angioina.

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“Il giglio rosso” di Anatole France

Pubblicato nel 1894, “Il giglio rosso” è tra i più noti romanzi francesi. Lo scultore Jacques Dechartre e la contessa Thérèse Martin-Bellème intrecciano una relazione amorosa, inquinata dalla gelosia dell’uomo per il passato passionale dell’amata. L’autore fa immergere il lettore in un ambiente mondano, nella tipica atmosfera “fin de siècle”, cerebrale ed estetizzante, spostando abilmente l’azione dei personaggi tra Parigi e Firenze. Una storia di desiderio infausto e di fascinazione erotica, dove la protagonista Thérèse assurge al ruolo di icona, oggetto del desiderio e dell’ossessione possessiva maschile.

Il giglio rosso

Il giglio rosso

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“Le notti bianche” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij

“Le notti bianche”, secondo libro di Fedor Dostoevskij, è stato pubblicato nel 1848. L’opera prende il nome dal periodo dell’anno noto col nome di “notti bianche”, in cui nella Russia del nord, e quindi anche nella zona di San Pietroburgo, il sole tramonta dopo le 22. L’autore ebbe a definirlo “un romanzo sentimentale”, ma forse sarebbe più corretto definirlo una fantasia, a causa della trama piuttosto astratta. Il protagonista è un sognatore, un uomo isolato dalla realtà e incapace di intrattenere qualsiasi rapporto di amicizia. Nel corso di una passeggiata notturna incontra, sul lungofiume, una ragazza. Il suo nome è Nasten’ka, ha diciassette anni e viene colpita dal carattere timido e impacciato di lui. L’uomo inizialmente prova solo simpatia per la ragazza, ben presto però il sentimento si trasforma e prende corpo. Il racconto si articola in quattro notti, nel corso delle quali i due si aprono l’uno all’altra.

Le notti bianche ebook

Le notti bianche

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Ricordiamo Matilde Serao

Matilde Serao nacque dal matrimonio tra Paolina Borely, nobile greca decaduta e l’avvocato napoletano Francesco Serao. Matilde trascorse l’adolescenza a Napoli, dove il padre cominciò a lavorare come giornalista a Il Pungolo. Visse così fin da piccola l’ambiente della redazione di un giornale. Nonostante questa influenza, e malgrado gli sforzi di sua madre, all’età di otto anni non aveva ancora imparato né a leggere né a scrivere. Imparò più tardi, in seguito alle vicissitudini economiche e alla grave malattia della donna. Riuscì a ottenere il diploma di maestra e lavorò per i telegrafi dello Stato. Ma la vocazione letteraria non tardò ad arrivare. Cominciò dapprima con brevi articoli nelle appendici del Giornale di Napoli, poi passò ai bozzetti e a 22 anni completò la sua prima novella, Opale che inviò al Corriere del Mattino.

A 26 anni lasciò Napoli per andare alla “conquista di Roma”. Nella capitale collaborò per cinque anni con il Capitan Fracassa. Nel 1883 ricevette la sua prima critica negativa da quello che sarebbe diventato suo marito, Edoardo Scarfoglio. Matilde Serao rimase affascinata da quel giovane intelligente e vivace. Nacque una relazione che suscitò il pettegolezzo della Roma-bene. Il 28 febbraio 1885 Matilde ed Edoardo si sposarono. Ebbero quattro figli: Antonio, Carlo e Paolo (gemelli) e Michele. Nonostante le gravidanze, il lavoro di Serao non si interruppe. Nei suoi anni romani pubblicò diversi romanzi.

Come dice Lidia Luberto – giornalista e fondatrice del Premio Matilde Serao – questa donna “è riuscita a conciliare perfettamente la sua vita professionale con quella privata”. Infatti, tra Matilde ed Edoardo non nacque solo un’unione sentimentale, ma anche un sodalizio professionale: insieme nel 1885 fondarono il Corriere di Roma dove Matilde invitò a collaborare le migliori firme del momento, ma che non decollò mai davvero. La coppia decise di trasferirsi a Napoli, per collaborare al Corriere del Mattino. Nel 1891 Scarfoglio e la moglie lasciarono il Corriere di Napoli e la coppia decise la fondazione di un nuovo giornale, che venne chiamato Il Mattino.

Fu una donna a tutto tondo, capace di grandi passioni”. Nel 1892 Matilde, dopo un litigio col marito, decise di lasciare la città per un periodo di riposo in Val d’Aosta. Durante l’assenza della moglie, Edoardo conobbe a Roma Gabrielle Bessard, una cantante di teatro, e tra i due cominciò una relazione. Dopo due anni Gabrielle rimase incinta. Scarfoglio rifiutò di lasciare la moglie e il 29 agosto 1894 la Bessard si presentò dinanzi a casa Scarfoglio e, dopo aver lasciato la piccola figlioletta nata dalla loro unione, si sparò sull’uscio un colpo di pistola. La figlia venne affidata da Scarfoglio a Matilde, che la prese con sé. Matilde scelse per la neonata il nome di sua madre, Paolina. Aveva perdonato il marito ma dopo qualche anno decise di rompere definitivamente la relazione. In quel periodo, una semplice rubrica creata dalla Serao, “Api, mosconi e vespe”, finì per avere successo e Matilde inventò, di fatto, il gossip. Su Il Mattino  prese il nome di Mosconi: “le sue note di costume costituiscono un’analisi geniale e una critica costruttiva della società napoletana”.

Il 13 novembre 1900 sul Mattino apparvero le dimissioni ufficiali della Serao da redattore del giornale. Nel 1903 entrò nella sua vita un altro giornalista, Giuseppe Natale. Con Natale al fianco, fondò – prima donna nella storia del giornalismo italiano – e diresse un nuovo quotidiano, Il Giorno. Il giornale della Serao fu più pacato nelle sue battaglie e raramente polemico e riscosse un buon successo. Dall’unione con Natale nacque una bambina, che Matilde volle chiamare Eleonora, in segno d’affetto per la Duse. La grande guerra intanto si avvicinava rapidamente, ma Il Giorno sembrava essere lontano da qualsiasi iniziativa interventista, a differenza del Mattino. I due giornali assunsero una linea comune solo alla fine del conflitto mondiale.

Dopo la morte di Edoardo Scarfoglio (1917), la Serao sposò Giuseppe Natale. Morto anche il secondo marito, rimase sola, ma continuò con la stessa vitalità il suo lavoro giornalistico e letterario. Matilde morì a Napoli nel 1927, colpita da un infarto mentre era intenta a scrivere che, a suo dire “era il mio destino”. L’ultima parola che è riuscita a completare col pennino mentre redigeva il suo ultimo articolo, il 25 luglio 1927, è stata ‘Amabile’.

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©Archivio Publifoto/Olycom

“La virtù di Checchina” di Matilde Serao

La virtù di Checchina“, capolavoro della Serao, fu pubblicato, secondo le abitudini del tempo, prima a puntate sulla “Domenica Letteraria”, quindi in volume. Nonostante qualche critica iniziale e un certo scetticismo, alimentato dalla stessa autrice in lettere private, “La virtù di Checchina” è uno dei testi più riusciti di Matilde Serao, un racconto borghese gradevole e coinvolgente, in cui l’innata simpatia della sua protagonista, i suoi ostentati timori, i “vorrei ma non posso” che ne animano di continuo le azioni e le esitazioni, riescono a creare una naturale empatia con il lettore che pur lasciandosi scappare magari più d’un sorriso dinanzi all’esibita ingenuità della donna, non può che divertirsi a sospirare e cospirare con lei, nella ricercata realizzazione di desideri tanto comuni quanto umani.

La virtù di Checchina

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La virtù di Checchina

Lariulà – Tarantella per Piedigrotta, da “Festa notturna” di Antonio Orselli

Il libro di Antonio Orselli, “Festa notturna” pubblicato il 18/09/2017, offre spunti interessanti e inediti sulla Festa di #Piedigrotta e, in questo post, vi facciamo leggere uno stralcio di testo riguardante la “Tarantella”, un ballo con una gestualità carica di erotismo:

[…] come si può riscontrare oggi in alcune zone del beneventano, dell’avellinese, del casertano e del Cilento, la tarantella può essere eseguita anche in coppia, da danzatori che eseguono un ballo, nel quale appare evidente una gestualità carica di erotismo. È probabile che sotto questa forma, a Napoli, essa abbia svolto, in passato, la stessa funzione che, oggi, assume in provincia la tammurriata, come sembrerebbe alludere l’immensa iconografia pervenutaci. Nella città, il ballo (sia tarantella, che danza sul tamburo) è scomparso almeno dalla fine degli anni ’50, dove proprio nella Piedigrotta, pur se nei festeggiamenti esterni, e a Grotta chiusa oramai da decenni, come si diceva, ancora veniva eseguito da gruppi di festeggianti legati alla Tradizione, provenienti dalle zone interne della regione e non solo da quelle. Non mancano però testimonianze, su una danza denominata tarantella che in passato, nella città, si presentava nelle sue componenti collettive e rituali. Diversi documenti ci raccontano come nella Napoli del Vice Regno spagnolo, fosse ballata una danza, così chiamata, nella festa notturna di San Giovanni a Mare, dove accompagnava dei rituali esplicitamente licenziosi. Pare che, durante la notte del 24 giugno, si accendessero dei grandi falò, dove il popolo vi si raggirava d’intorno con osceni balli, di poi, allere e senza panne, come ci dice il poeta cinquecentesco Velardiniello, si facevano il bagno nell’acqua del mare. Una siffatta manifestazione fu più volte proibita, fino a che non si eliminò del tutto intorno alla prima metà del XVII secolo. In forme apertamente erotiche, alcune danze si sono potute riscontrare nella Napoli di fine ottocento e oltre… […]

Lariulà

“Festa notturna” di Antonio Orselli

Anton Smink Van Pitloo e la Scuola di Posillipo

Nato ad Arnhem nel 1790, Anton Smink Van Pitloo, conosciuto in Italia come Antonio Pitloo, dopo aver frequentato la scuola d’arte nel proprio paese natale si trasferì prima a Parigi e poi a Roma. Nella capitale francese conobbe Jean-Joseph Xavier Bideau e Jean Victor Bertin grazie ai quali decise di dedicarsi alla descrizione del paesaggio piuttosto che all’architettura, con cui aveva iniziato. Nella città romana approfondì il “vedutismo”, genere pittorico che aveva per soggetto vedute prospettiche di città o paesaggi. Ma la svolta arrivò quando nel 1815, al seguito del diplomatico russo, nonché estimatore d’arte, Gregorij Orlov, si trasferì a Napoli, dove rimase fino alla fine della sua vita. La città partenopea fu indispensabile a Pitloo per affinare la propria tecnica pittorica e approfondire la ricerca cromatica e atmosferica iniziata già dai paesaggisti nordici Corot e soprattutto William Turner, autore romantico che realizzò lo splendido “Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi”. Ma perché proprio Napoli? Terra e mare, coste e isole. Rovine antiche come Pompei, Ercolano, Paestum e nobili fortezze come Castel dell’Ovo. Miti e leggende, palazzi, monumenti e oasi verdi. Campagne e soprattutto l’onnipresente ombra del Vesuvio. Qui, un paesaggista aveva tutto ciò che poteva desiderare. A partire dal 1820 Pitloo fondò la Scuola di Posillipo. I più importanti pittori di vedute dell’epoca, circa una quarantina, illustrarono tra il 1820 e il 1860 le bellezze del paesaggio campano, non solo luoghi, ma anche costumi e tradizioni. Le opere realizzate in questo periodo furono esposte nei salotti delle case borghesi e la loro influenza sulla pittura italiana proseguì per tutto l’Ottocento, finendo per imitare le prime fotografie e cartoline postali. Hippolyte Taine, filosofo e critico letterario francese, scrisse in una sua lettera che percepiva la bellezza di Napoli più attraverso le vedute della “Scuola di Posillipo” che dalla realtà. Nonostante le riunioni di questi artisti avvenissero nello studio di Pitloo, il suo principale insegnamento riguardò la pittura “en plain air”, opposta alla visione accademica del paesaggio. Massimo rappresentante di questa Scuola fu Giacinto Gigante, al quale si devono paesaggi ad acquerello particolarmente intimisti e malinconici. Nel 1824 Pitloo vinse, grazie al Il boschetto Francavilla al Chiatamone”, il concorso per succedere alla cattedra di Paese dell’Accademia Borbonica di Belle Arti, nata per la prima volta in Italia. Un olio di 44 per 75 centimetri, dall’inquadratura del tutto insolita in cui il pittore olandese rappresenta la campagna e gli edifici degradati come se mostrasse un paesaggio lirico ed emozionante. Più che le strutture che osservava, egli rappresentava nei suoi dipinti la magia che questi sprigionavano. Pitloo non abbandonò il capoluogo campano neanche quando scoppiò l’epidemia di colera di cui fu vittima nel 1837. Per gran parte della sua vita rese Napoli celebre nei suoi dipinti, a sua volta la città lo consacrò come grande autore di paesaggi adottandolo tra i propri figli illustri.

Tratto da: “L’arte a Napoli – La scuola di Posillipo” dell’Associazione Culturale “Terra Utopiam”, pubblicato da Le Parche Edizioni

L’Arte a Napoli – La Scuola di Posillipo

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Pasquale Cerolli - La Sciabica

Conosciamo l’autore del libro “Giudizio Universale”

L’autore, Giovanni Carullo, parla del suo libro, “Giudizio Universale”:

“La vita mi ha riservato molteplici colpi di scena in questi primi anni della mia vita, con risonanze sempre diverse e dal risultato incostante. Ho visto persone spezzarsi per molto meno di nulla rispetto ai miei trascorsi e sapere di essere stato capace di superarli è tanto piacevole quanto spronante. Amo scrivere dalla tenera età e spesso mi accorgo di come, nonostante il mio registro linguistico si sia profondamente evoluto, molti aspetti del mio pensiero siano molto più simili a quelli di un ingenuo e disinibito bambino piuttosto che a quelli di un ragazzo. L’umanità ha, da sempre, preso spunto da ciò che lo circonda per rendere ciò che lo circonda qualcosa da qui prendere spunto; atti, gesti, parole e sensazioni, anche di quella che può sembrare la natura più effimera, spesso sono determinanti per cambiare la storia e la vita delle persone e questo libro non è altro che questo, ovvero un insieme di momenti sottili e casuali che hanno reso il mio pensiero, e le persone che lo influenzavano, qualcosa di più grande. L’ordine e il caos sono le componenti più antiche e profonde degli strati del creato e, come tali, regolano indissolubilmente i meccanismi della natura e le sue manifestazioni, tuttavia nonostante questo equilibrio ci mostri la realtà delle cose come uno specchio sulla verità, incontestabile e chiara, l’uomo dal basso della sua esistenza ha creato dei fittizi alter ego chiamati bene e male, giusto e sbagliato, cercando di sintetizzare ed adattare alle necessità umane due cose tanto distanti quanto complementari per renderle alla sua portata. L’uomo ha esaltato l’ordine con le leggi e il caos con le pene, come se l’uno potesse prevalere sull’altro in ordine di giustizia, creando così delle zattere chiamate politica e religione  che gli permettessero di non annegare nel burrascoso e torbido mare della realtà. La guerra, la follia, le regole e i costrutti sono finalizzati al raggiungimento di una pace stabile se non addirittura eterna, mera illusione di un essere che tenta di dare degli argini alle indomabili e incomprensibili acque del cosmo.  Alcuni movimenti credono di poter risvegliare antiche forze, semplicemente ribaltando quelle attuali, convinti di poter purificare il mondo con qualcosa di sozzo come la guerra e di poter equilibrare l’inequilibrabile. Questi confidavano fermamente nel potere del progresso e nelle forze motrici della guerra. Con tutte le nostre forze abbiamo provato a dare un ordine alla vita tramite le leggi ma nulla ci ha portati davvero alla pace, ci sono stati molti regimi e molti sistemi politici, ma essendo essi comunque governati dall’uomo, è sciocco credere che dopo migliaia di anni di fallimentari tentativi si possa arrivare realmente ad un processo etico definitivo. Ebbene cosa siamo noi se non una macchia sul nostro pianeta come quella di sugo su una camicia, insistente e resistente finché il mondo non trova il modo di farci sparire. Come rendere dunque questa macchia incancellabile e soprattutto, avete mai visto voi una macchia che tenta di cancellarsi da sola? La risposta è la sfida, sfidare il mondo, sfidare lo spazio, sfidare il tempo e persino noi stessi perché l’equilibrio tra l’ordine e il caos è etereo, ma non eterno, e l’unico modo che ha il sole per sorgere è quello di sfidare il buio delle tenebre fin dove, e oltre, l’occhio riesce a cogliere la sua essenza, e così la notte fa altrettanto ancora, ancora e ancora. Solo dando a tutto un tempo riusciremo a capire il rapporto tra il momento e l’eternità. La Divina Commedia, e l’opera dantesca in generale, è sempre stata fonte d’ispirazione nonostante il mio fermo e radicato agnosticismo, infatti è proprio l’analisi di queste credenze ed ideologie, da esterno scettico e disinteressato, che mi ha permesso di creare e sintetizzare una linea di pensiero personale e sotto molti aspetti provocatoria. Bibbia, Corano, Torah e qualsiasi altro testo “sacro”, sono enunciazioni tramite le quali l’uomo ha incatenato se stesso a un muro d’ignoranza e restrizioni dal potere magnetico, saturi di una pericolosità colossale. Spero vivamente che nessuno sentasi offeso dalle parole che leggerà poiché il mio volere non è necessariamente quello di criticare Dio o qualsiasi altra entità in cui voi riversate le vostre paure e convinzioni, bensì vorrei spingere, chiunque lo legge, a riflettere maggiormente con la propria mente poiché è questa la vera forza che “in principio” creò l’uomo e la donna e, talvolta, tutte le altre sfumature. Pur se può rivelarsi insolito, rivolgo uno speciale ringraziamento alla vita, a ciò che ho visto e capito in questi brevi ed eterni diciannove anni, ringrazio tutte le persone che mi hanno fatto del male e tutti i momenti brutti che sono stato costretto a vivere perché se riesci a sopravvivere, quando ti forzano a tenere la testa sott’acqua tutto questo tempo, poi impari a non annegare, nonostante tutto. Ogni pagina del “Giudizio Universale” riassume qualche attimo della mia e di molte altre vite, le mie paure, le mie insicurezze, i miei tormenti, i miei ricordi, i miei rimpianti, le mie malinconie e soprattutto la gioia di aver vissuto tutto questo riuscendo ancora a sorridere guardando un bimbo che mette le dita del naso. Arrivate dunque voi alla vostra conclusione poiché io vi propongo, ma non impongo, le mie, anche perché per quanto mi riguarda, come affermava il filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche “Gott ist tot”, Dio è morto”.

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Giovanni Carullo – Giudizio Universale

Biografia di Giovanni Carullo:

Giovanni Carullo nasce a Pozzuoli, in provincia di Napoli, il 3 maggio 1998, primogenito e unigenito di una modesta famiglia puteolana. Sin da piccolo dimostra vivo e sincero interesse per il mondo dell’arte e in particolare per il teatro e la letteratura. All’età di sei anni cominciò a frequentare la scuola Savino Vitagliano che cambiò però sede a causa del crollo improvviso del soffitto e le condizioni cedevoli dell’intera struttura, meno fortunata fu anche la seconda sede che aveva la fama di avere maestre violente e inadatte al loro compito. Conseguito, successivamente, il diploma delle scuole medie alla Giacinto Diano nella sezione E, (sezione musicale), cominciò il suo percorso verso la maturità presso quella che per lui sarà la più importante e determinante delle tre strutture statali preposte alla formazione culturale e sociale degli studenti, ovvero l’Istituto Magistrale Statale Virgilio di Pozzuoli, indirizzo economico-sociale, che ha reso pratiche le sue capacità letterali, teatrali e umanistiche fino al superamento dell’esame di stato e quindi alla maturità. “Giudizio Universale” è il suo esordio letterario.

La festa di Piedigrotta… e “Festa notturna” di Antonio Orselli

Dal libro di Antonio Orselli, “Festa notturna”

“Per rendersi conto di quanto la festa destasse l’interesse e la meraviglia di quei forestieri che nel ‘700 giungevano a Napoli, si propone qui la particolareggiata cronaca stilata dal francese Jérome de Lalande, nella quale così si legge:

Vi è ogni anno, in questo giorno, una festa che è la più celebre di Napoli; io ho assistito a quella dell’8 settembre 1765; il tempo era molto bello e tutto concorse a rendere la pompa più strepitosa; si era sospeso il lutto della Corte per cui i diamanti e gli abiti resero più sfavillante la festa; c’erano 6000 uomini in armi; il Re, preceduta da una dozzina di carrozze da parata, e seguito dalle sue guardie, si recò nella cerimonia verso le 22 o due ore prima del tramonto, per andare alla chiesa di Piedigrotta e omaggiare la Vergine; tutte le finestre erano tappezzate, tutta la riviera di Chiaia affollata di popolo; non si poteva vedere un luogo più consono all’andamento di questa moltitudine di popolo e di soldati; la premura che si ha per vedere questa cerimonia è degna della sua fama, ci sono degli appartamenti che sono affittati 200 lire per quel giorno e che non ne costano 300 per l’anno intero. Le persone di riguardo che scelgono Chiaia decidono di desinare in questo giorno in appartamenti affittati, e le genti di campagna, talvolta sono impegnati per il contratto matrimoniale a portare le loro mogli a Napoli per questa festa; il colpo d’occhio merita di essere dipinto (…). L’immagine miracolosa che ha dato lustro alla chiesa di Piedigrotta sta sull’altare maggiore; la devozione dei Napoletani a questa Madonna è grandissima; moltitudini di fedeli la visitano soprattutto il sabato; i vascelli che passano lì presso hanno l’usanza di salutarla; e la domenica dell’ottava si allestiscono delle grandi edicole votive e nelle strade si fanno fuochi di gioia in suo onore.”

Festa Piedigrotta per web

“Festa notturna” di Antonio Orselli

A settembre nel nostro catalogo

Con tali presupposti, quelle tradizioni che avevano dato lustro alla dinastia e visibilità al suo potere, assunsero non solo una funzione rassicurante, ma divennero il segno della continuità di un glorioso passato. E, infatti, anche Francesco I continuò le consuetudini paterne, recandosi spesso alla festa di Piedigrotta. Nel Giornale delle Due Sicilie, in data 10 settembre 1827, troviamo una minuziosa descrizione dell’evento, in questi termini:

“Ieri l’aria non si rasserenava  che ad intervalli; e la pioggia in taluni momenti dirotta, sembrava che avesse dovuto assai nuocere al brio della festa, per godere del quale era solito concorso delle convicine province  un prodigioso numero di persone d’ogni classe. Ma questo inconveniente non scemò punto l’immensa moltitudine spettatrice; e se qualche noja si ebbe dal tempo umido e piovoso, questa venne largamente ricompensata dalla desideratissima visita delle LL.MM. che sono S.A.R. il Duca di Calabria e cogli altri Principi e Principesse Reali, e col grandioso Corteggio di uso in simili congiunture, alle 5 p.m. portaronsi a compiere la religiosa  funzione tra le salve di tutti i Forti e de’ Reali legni da guerra, allineati alla rada di Chiaja. Una tal vista eccitò veramente una ilarità universale, ed una universale vivissima compiacenza…”

13 libri da leggere sotto l’ombrellone

Tra un cocktail al tramonto, una playlist musicale e un tuffo al mare, trova anche il tempo per leggere…

Le Parche Edizioni

Libri sotto l'ombrellone