La Resilienza

Con il termine resilienza si intende la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, è quindi una competenza chiave, che è possibile sviluppare attraverso l’apprendimento di tecniche professionali ed il potenziamento dei fattori personali per trasformare le circostanze avverse in nuove sfide alla propria esistenza.

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Secondo Boris Cyrulnik, psichiatra e psicanalista, docente all’Università di Tolone (Francia), la resilienza “è l’arte di navigare sui torrenti”. Un trauma sconvolge il soggetto trascinandolo in una direzione che non avrebbe seguito. Ma una volta risucchiato dai gorghi del torrente che lo portano verso una cascata, il soggetto resiliente deve ricorrere alle risorse interne impresse nella sua memoria, deve lottare contro le rapide che lo sballottano incessantemente. A un certo punto, potrà trovare una mano tesa che gli offrirà una risorsa esterna, una relazione affettiva, un’istituzione sociale o culturale che gli permetteranno di salvarsi. La metafora sull’arte di navigare i torrenti mette in evidenza come l’acquisizione di risorse interne abbia offerto al soggetto resiliente fiducia e allegria. Tale inclinazione, acquisita in tenera età, gli ha conferito un attaccamento sicuro e comportamenti seduttivi che gli permettono di individuare ogni mano tesa. Ma se osserviamo gli esseri umani nel loro “divenire”, constateremo che chi è stato privato di tali acquisizioni precoci potrà metterle in atto successivamente, pur con maggiore lentezza, a condizione che l’ambiente, consapevole di come si costruisce un temperamento, disponga attorno al soggetto ferito qualche tutore di resilienza. Il termine resilienza è stato mutuato dalla fisica per indicare “la capacità di riuscire, di vivere e svilupparsi positivamente, in maniera socialmente accettabile, nonostante lo stress o un evento traumatico che generalmente comportano il grave rischio di un esito negativo.(…) Certo, al momento del trauma, si vede solo la ferita. Sarà possibile parlare di resilienza soltanto molto tempo dopo, quando l’adulto, infine riparato, riconoscerà il trauma infantile subito. Essere resilienti è più che resistere, significa anche imparare a vivere. Purtroppo, costa caro”. Quando la ferita è aperta, siamo orientati al rifiuto. Per tornare a vivere, non dobbiamo pensare troppo alla ferita. “Con il distacco dato dal tempo, l’emozione provocata dal trauma tende a spegnersi lentamente lasciando nei ricordi soltanto la rappresentazione del trauma.”

Leggiamo questo stralcio di testo, tratto dal libro di @DoraBuonfino, #Lemiepagliuzze:

“Finalmente, era venuto il tempo tanto desiderato di pensare ai miei sogni e decidere come condurre la mia vita. Lui ne era uscito ed io avrei potuto vivere senza altre interferenze, senza più timori, e chissà se dimenticare tutto mi avrebbe permesso di sopravvivere alla sensazione di pericolo ormai passata. Davanti mi si presentava la possibilità di non essere più sola, avrei accantonato le liti e le ripicche per i torti fatti o ricevuti. In fondo, i miei coetanei non mi erano del tutto indifferenti e il fatto che nessuno di loro si interessasse a me cominciava a stancarmi. Dovevo lasciare da parte le mie fobie e farmi conoscere sotto una nuova veste. Finalmente ero libera di decidere se rimanere in casa o uscire e, soprattutto, mi sarei potuta recare dalla nonna senza più timore. La voglia di solitudine stava scemando, lasciando il posto al desiderio di avere amicizie. Però, dove avevo scavato un fossato, non potevo pretendere di costruire un passaggio se non con lavoro, impegno e determinazione. La via per arrivare al riscatto si presentava lunga e complicata per gli ostacoli che io stessa avevo costruito, rifiutando a priori di concedere, o concedermi, ogni forma di opportunità. I miei compagni, infatti, faticavano a fidarsi del mio cambiamento disinteressato e testimone della mia resa incondizionata. Per troppo tempo avevo eluso la loro buona volontà ed ora si chiedevano il perché di tanta apertura. Mi imposi, quindi, la costanza dell’attesa e della pazienza, nel frattempo avrei osservato la loro maniera di rapportarsi e le loro idee e aspirazioni, convincendomi che il tempo avrebbe aggiustato tutto. Studiavo i miei coetanei non per copiarne la vita, ma per imparare da loro a vivere. Mi erano nuovi la musica che ascoltavano e i film che guardavano, i discorsi e la maniera in cui trascorrevano il tempo libero. Ne ascoltavo le parole, in silenzio, senza intromettermi, senza mostrare opinioni, e mi dissetavo delle loro emozioni, demolendo gradatamente il muro eretto a difesa delle mie, liberandole, finalmente, dalle catene della solitudine che tutto aveva oppresso e castigato…”

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“Le mie pagliuzze” di Dora Buonfino

I minori, vittime di abusi sessuali. 2 Parte Le origini dell’abuso.

I comportamenti di abuso sessuale su minori sono sempre esistiti, in ogni contesto culturale e in tutte le epoche. In Italia gli studi concernenti l’abuso sessuale minorile si sono sviluppati solo da poco tempo, mentre in altri paesi si riscontrano documenti ed aggiornamenti interessanti riguardanti i diversi aspetti di questo fenomeno. Non è infatti un fenomeno strettamente legato alle cosiddette «società complesse» e soprattutto non è frutto della modernità, ma testimonianze storiche dimostrano che «la violenza ed i
comportamenti aggressivi nei confronti dei minori sono manifestazioni
costanti e costituiscono un fenomeno sempre esistito».
L’abuso sessuale non può essere, dunque, definito come un male moderno, anche se solo negli ultimi anni si è cercato di imprimere una sorta di forza dal punto di vista giuridico-legislativo.
Già nel 1962 uno dei primi studiosi ad occuparsi degli abusi sui bambini
è stato il pediatra nordamericano H. Kempe, che si è soffermato non solo su abusi sessuali o sfruttamento lavorativo, ma «anche sul maltrattamento psicologico, l’incuria, l’abbandono, la trascuratezza alimentare, scolastica e sanitaria e l’abuso sessuale nei casi di pedofilia, pornografia, atti di libidine, prostituzione, rapporti sessuali devianti».
Ai nostri giorni e nelle società maggiormente progredite si va affermando una presa di coscienza su tale fenomeno, una sorta di «consapevolezza collettiva» dell’esistenza di abusi sessuali sui minori e del loro coinvolgimento psicologico ed emotivo, nonostante ancora oggi vi sia molta reticenza ed omertà, in particolare nell’ambito delle famiglie che, per una sorta di pudore, non denunciano tali violenze.
Per meglio comprendere il significato del termine abuso, si ritiene utile
accennare alle possibili definizioni considerate dal punto di vista psicologico e sociologico. Nell’approccio psicologico, infatti, i comportamenti pedofili fanno punto riferimento ad un modello teorico sperimentale utilizzando il riflesso automatico indotto per il tramite di uno specifico stimolo. Si tende così ad ampliare la definizione, facendo rientrare nella casistica anche quegli atteggiamenti che non sfociano in un vero rapporto sessuale, ma prendono in considerazione il comportamento e l’atteggiamento dell’adulto che viene stimolato da immagini e fantasie di soggetti in età adolescenziale e prepubere. È una dimensione prettamente soggettiva del comportamento dell’adulto, anche se a volte tende a verificarsi in una dimensione soltanto potenziale.
Una definizione più strettamente sociologica del fenomeno, invece, deve partire dall’analisi etimologica del termine: «l’origine infatti è greca, e la parola pedofilia deriva da pais (bambino, infante) e phileo (amare), amore per i bambini quindi». Un importante aspetto da evidenziare è che esiste una sostanziale differenza tra pedofilia ed abuso sessuale: nel primo caso può non determinarsi un atto sessuale concreto con il minore; mentre nell’abuso c’è un coinvolgimento erotico vero e proprio da parte del soggetto prepubere.
Si può facilmente intuire quindi che la rilevazione e l’accertamento di un fatto di abuso sessuale è operazione estremamente complessa, soprattutto perché sussiste tra gli interpreti molta incertezza su cosa debba intendersi per abuso sessuale. Del resto è difficile delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, specie in una materia come questa, condizionata fortemente da inclinazioni soggettive e dove la linea di demarcazione è molto sfumata. Di fondamentale importanza è porsi la domanda su che cosa possa essere correttamente definito come comportamento abusante nei confronti di un minore. Anche se nella sfera emozionale può sembrare che non vi debbano essere dubbi in proposito, non è certo un caso che gli esperti ancora dibattano sull’estensione di tale definizione, sia in merito agli atti commessi, sia in merito al tipo di relazione intercorrente o meglio, che dovrebbe intercorrere per rientrare nella sfera degli abusi, tra abusante ed abusato.

Federica Farre

Le mie pagliuzze finale

Le mie pagliuzze

Dora Buonfino

I minori, vittime di abusi sessuali. 1° parte

Le problematiche legate al fenomeno dei minori vittime di abusi sessuali sono oggi tra le più dibattute della nostra società. Giuristi, sociologi, psicologi e moralisti, ma anche il cosiddetto «uomo della strada», hanno sempre cercato di «capire» perché uomini e donne adottino comportamenti contrari a ciò che è comunemente ritenuto «morale e giusto», secondo un codice accettato unanimamente da culture diverse. Il mondo dell’infanzia è rimasto per lungo tempo sconosciuto: per secoli il bambino era considerato privo di cultura e incapace di attività intellettuale. Nell’età moderna, invece, le rivoluzioni scientifiche e l’emergere di una nuova visione del sapere hanno portato alla scoperta dell’infanzia, a capire cioè che il bambino non è un adulto «imperfetto», ma un soggetto attivo, partecipe del proprio sviluppo, a cui non si deve continuare ad imporre la cultura adulta. Nel XX secolo si è assistito all’avvicinamento e all’esplorazione del «pianeta infanzia», ed un mondo per troppo tempo inascoltato ha trovato voce. Soltanto da pochi anni, quindi, per uno sviluppo preoccupante del fenomeno della pedofilia, soprattutto dopo l’introduzione di Internet su scala mondiale, ha cominciato a farsi strada l’idea di questi comportamenti secondo un metodo scientifico, il più possibile libero da valutazioni di carattere morale. Questo tentativo non si è sempre attuato in modo adeguato, ed anche studi che intendevano essere rigorosamente scientifici, ad un’analisi successiva, rivelavano l’impronta di giudizi di valore impliciti e spesso inconsci. Forse anche per questo motivo lo studio dei fatti legati ai minori come vittime di abusi sessuali, raramente è stato accompagnato da un’approfondita analisi dei temi attinenti alle reazioni che la parte più conformista del sistema sociale pone in atto nei confronti di comportamenti non consoni ai valori ed alle norme del sistema sociale stesso. L’estrema diffusione dell’insorgere dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori si rintraccia in molteplici fonti sociologiche. Emergono, infatti, tra queste ultime alcuni dati significativi che rivelano come tra il 1730 e il 1789 il 25% delle vittime dei processi per stupro non raggiungeva i 10 anni. Si annoverano, inoltre, le credenze popolari dell’Inghilterra del XVIII secolo sull’efficacia terapeutica della congiunzione carnale con minori per guarire malattie veneree. Questo studio, dunque, vuol essere una panoramica sugli aspetti legati all’abuso sessuale sui minori che riteniamo essere particolarmente significativi. Come già sottolineato, vengono presi in considerazione solo alcuni di questi approfondimenti. Ciò può essere giudicato come un limite, ma d’altro canto, se si considera la vastità del fenomeno concernente i problemi legati alla pedofilia e la numerosa varietà di opinioni da parte degli studiosi e di altri contributi certamente rilevanti, si comprende come risulti impossibile essere esaurienti.

Federica Farre

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Scegliere di parlare dell’abuso sessuale infantile è un atto coraggioso, in tempi in cui vanno di moda i sentimenti e le emozioni usa e getta e in cui si prediligono le soluzioni preconfezionate agli inviti alla riflessione. E a Dora Buonfino quel coraggio non è mancato. Con la sua penna delicata ha dato voce al silenzio della protagonista, le ha permesso di aprire il proprio scrigno segreto e di distribuire le sue pagliuzze a chi avrà altrettanto coraggio di prenderle in custodia.

Le mie pagliuzze finale

Le mie pagliuzze

“Il libro è nato come carezza per l’anima ferita. Non troverete una vittima che vi chiede aiuto, che vi responsabilizza ordinandovi di prendervi carico della sua vita. La protagonista vi mostra tutta la sua forza e nel raccontarvi vi rincuora, vi prende per mano e vi protegge. Non è causare dolore il mio intento, ma mostrare la consapevolezza che mi ha sempre sorretto. Non chiedo battaglie, prese di posizione, imponendo un carico insopportabile, né vi farò sbirciare nel mio vissuto come voyeur d’occasione. Questo libro va oltre l’abuso, perché vi aiuterà a guardarvi dentro prendendo in considerazione le vostre debolezze, ma anche le vostre potenzialità, indicandovi il modo per amarvi e divenire più forti.”

Dora Buonfino

 

Entusiasmo e… tanta voglia di tornare

Di ritorno dal Salone Internazionale del Libro di Torino eccoci a condividere le nostre sensazioni.

Per noi è stata la prima apparizione in questo grande contesto. Una meta che alcuni mesi fa ci sembrava impossibile, irraggiungibile, e che invece si è materializzata e ci ha regalato tantissime emozioni, grazie, soprattutto, all’appoggio di chi ci segue e crede in noi, nel nostro lavoro e nella nostra professionalità. Abbiamo respirato il profumo del mare in un oceano fatto di carta e navigato in un flusso di pensieri, tra poderose onde fatte di parole e versi che ci hanno accarezzato dolcemente salvandoci dalla deriva dell’ipocrisia… ma quello che ci ha colpito maggiormente, sin dal primo istante, è stato l’entusiasmo stampato sul volto delle persone presenti al Salone, sia espositori che visitatori, sempre sorridenti e felici, sì… adesso possiamo confermarlo, il Salone del Libro di Torino è un mondo magico dove la fantasia non ha confini, anzi va “Oltre il Confine”. Abbiamo conosciuto persone stupende che hanno arricchito il nostro bagaglio culturale e adesso… siamo già proiettati alla 31ª edizione che si svolgerà dal 10 al 14 maggio 2018.

Presentazione del libro “Le mie pagliuzze” ad Avellino

Giovedì 4 maggio 2017, alle ore 17, nelle sale della Villa Amendola di Avellino, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura e della Biblioteca Comunale “Nunzia Festa”, sarà presentato il libro #Lemiepagliuzze di Dora Buonfino. Partecipano all’evento “Incontri con L’Autore“, l’Assessore alla Cultura del Comune di Avellino Bruno Gambardella, il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Avellino Fabio Benigni, la Responsabile CADMA “Antonella Russo” Maria Rosaria Famoso e la Psicologa e Psicoterapeuta Marianna Patricelli.

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Evento in programma

Intervista a Dora Buonfino

Intervista

Le mie Pagliuzze di Dora Buonfino

Oggi abbiamo pubblicato il secondo libro di Dora Buonfino #Lemiepagliuzze, un romanzo autobiografico che parla di un tema delicato e complesso, un problema, purtroppo, ricorrente nella nostra società, l’abuso sui minori. Ne abbiamo già parlato nel post precedente, ma con l’uscita del libro di Dora, vogliamo evidenziare maggiormente questa “violenza” assurda e inconcepibile, facendovi leggere la prefazione inserita nel libro dalla psicologa Annarita Arso Psiche Nessuno e Centomila

“Secondo una vecchia leggenda, sarebbe possibile far scomparire le verruche dalle mani strofinandoci sopra una pagliuzza di fieno. Per assicurarsi che non tornino, sarebbe poi opportuno ripiegarla e riporla in un luogo da cui si è certi che non si passerà mai più. La protagonista di questo romanzo le sue pagliuzze sceglie di affidarle al lettore. Lo fa con un’intenzione che ha ben poco di magico o superstizioso, ma che assume invece una forte valenza catartica perché, quando il dolore diviene tanto difficile da tollerare, è importante trovare la forza e il coraggio di dividerne il peso con qualcuno. Così il fardello che si trascina dietro prova ad alleggerirlo prendendo il lettore per mano e guidandolo nei meandri della propria storia, scegliendo con cura le parole in cui incasellarla. Dando forma alla ferita che l’infanzia violata le ha lasciato in eredità, descrivendo il vuoto che ha provato ripetutamente a riempire confidando nell’amore di un altro che guarisce, tracciando i contorni di quello strappo nel senso del Sé in cui il dolore per anni si è fatto spazio, accarezzando quel disperato bisogno di conferme affettive a lungo bloccato ad un bivio buio del cuore, a metà strada tra la tentazione di chiedere e la paura di essere deriso. La protagonista racconta di come ci si possa riscoprire fragili, vulnerabili, soli, quando si è stati costretti a costruire la propria identità inseguiti da un orco che prova a distruggerne le fondamenta. Di come ci si possa persino rivestire con i sensi di colpa, aggiungendo un’altra tassa al conto già salato dell’innocenza violata. Di come si possa sopravvivere alla sensazione di essere costantemente in bilico su una fune sottile, sprovvisto di una barra che aiuti a mantenere l’equilibrio. Di come la violenza, soprattutto se perpetrata da chi invece dovrebbe dispensare amore a piene mani, possa causare un dolore talmente ingombrante che fatica a trovare parole della taglia giusta in cui farsi spazio. La protagonista non ha nome, non ha certezze, non ha porti sicuri in cui approdare con le proprie paure. Ha solo una lista di cose da cambiare, un paio di forbici per tagliare via il superfluo e un diario in cui annotare ciò che non è consigliabile dimenticare. E poi ha tanti tasselli di vita sparsi sul pavimento, in attesa che qualcuno la aiuti a ricomporli nella giusta collocazione, consapevole di dover imparare a conviverci per non correre il rischio di sentirsi di troppo anche quando resta sola con se stessa. Non teme di convivere con il passato, ma ha bisogno di seppellirne i fantasmi. Così sceglie di rovistare proprio in quella vulnerabilità che la spaventa, imparando ad immergere le mani in quella ferita originaria perché smetta di fare male. Sceglie soprattutto di liberarsi dalle maschere di felicità maldestramente indossate per rifuggire la propria interiorità, consapevole del fatto che il vuoto che vi alberga attende solo un contenitore che gli dia forma. Con il suo secondo libro, “Le mie pagliuzze”, Dora Buonfino di quel contenitore ne fa omaggio al lettore, irrompendo nel quotidiano di una famiglia dalla fedina morale immacolata ma dalle morali multiple, svelandone le ombre e le contraddizioni. Perché i legami familiari non sempre nutrono, qualche volta affamano. Qualche volta sono addirittura capaci di lasciare lividi indelebili, come tatuaggi sull’anima che si cerca freneticamente di rimuovere. Come quelli sui quali, chi viene derubato della propria infanzia, ci passa sopra un’invisibile pagliuzza di fieno tutte le sere, strofinando la pelle fino a sentirla bruciare, nel vano tentativo di cancellarne ogni traccia. Gli stessi lividi della bambina con gli abiti perfettamente stirati e con il cuore pieno di grinze a cui la scrittrice, con il proprio romanzo, offre un degno e rispettoso palcoscenico sul quale ripercorrere il proprio viaggio a ritroso. Un passo alla volta. Perché ogni passo è importante. Ogni passo è un’istantanea da ritagliare accuratamente, fino a sentire sempre più flebile l’eco dei propri vuoti affettivi. Scegliere di parlare dell’abuso sessuale infantile è un atto coraggioso, in tempi in cui vanno di moda i sentimenti e le emozioni usa e getta e in cui si prediligono le soluzioni preconfezionate agli inviti alla riflessione. E a Dora Buonfino quel coraggio non è mancato. Con la sua penna delicata ha dato voce al silenzio della protagonista, le ha permesso di aprire il proprio scrigno segreto e di distribuire le sue pagliuzze a chi avrà altrettanto coraggio di prenderle in custodia.”

Annarita Arso

Le mie pagliuzze finale

Le mie pagliuzze

L’abuso su minori

È possibile definire l’abuso sessuale in modi molto diversi. Una definizione generale soddisfacente può essere quella che fornisce Montecchi (1994):

«Il coinvolgimento di soggetti immaturi e dipendenti in attività sessuali, soggetti a cui manca la consapevolezza delle proprie azioni nonché la possibilità di scegliere. Rientrano nell’abuso anche le attività sessuali realizzate in violazione dei tabù sociali sui ruoli familiari pur con l’accettazione del minore.»

Da questa definizione si deduce che l’abuso sessuale non è certamente un’attività che comporti necessariamente l’atto della penetrazione. L’aspetto fondamentale, invece, è quello rappresentato dalla condizione della vittima, impossibilitata a scegliere o a comprendere correttamente quello che sta accadendo o che viene proposto. Nel caso di un abuso sessuale intrafamiliare, quindi, si è in presenza di un abuso sessuale quando la persona coinvolta nella relazione sessualizzata non è in grado di cogliere il profondo significato di quanto viene effettuato su di lei, oppure le conseguenze reali e durature a cui può portare. Si parla di abuso sessuale anche nei casi in cui la persona non viene mai fisicamente toccata, ma viene esposta alla visione o all’ascolto di vicende a contenuto sessuale non pertinenti all’età o alla relazione con l’abusante. Nei casi più evidenti e cruenti la persona che subisce un abuso sessuale è posta nell’impossibilità di agire liberamente mentre viene posta all’interno di una relazione sessualizzata, per esempio attraverso minacce o l’impiego della forza fisica. A causa dell’origine della molestia, l’abuso sessuale intrafamiliare produce, in linea di massima, effetti più gravi di quelli prodotti da abusi avvenuti all’esterno del nucleo familiare. La maggior parte degli abusi sessuali intrafamiliari viene effettuata dai padri, in secondo luogo dai conviventi nel nucleo familiare (nonni, zii, patrigni, ecc,) e, in percentuale molto minore, dalle madri (circa il 7% dei casi). La ricerca clinica indica che un abuso sessuale intrafamiliare può produrre i danni più gravi soprattutto quando sono presenti le seguenti caratteristiche

  • un legame intenso con la persona che effettua l’abuso;

  • una lunga durata dell’abuso;

  • l’abuso resta nascosto o non viene riconosciuto dall’ambiente familiare;

  • la persona abusata non è in grado di parlare dell’accaduto

  • la persona abusata è ancora un bambino.

L’abuso sessuale, specialmente se intrafamiliare, può certamente dare origine a molti problemi psicologici, anche di lunga durata e di difficile risoluzione spontanea nel corso della vita.

Il 15 marzo sarà pubblicato il romanzo di Dora Buonfino, “Le mie pagliuzze”:

Le mie pagliuzze finale

A cinque anni è stata violata la sua libertà di crescere. Vive cercando un modo per tenere lontano chi richiede da lei attenzioni troppo grandi per una bambina. Non sa di essere vittima, non sa di avere il diritto di dire no all’abuso. Può contare solo su se stessa e sulla sua forza di volontà. Una volontà che non la abbandona, che alimenta la ricerca continua di risposte e soluzioni e che la porterà a comprendere se stessa.