“Tipacci da Hotel” di Gemma Formisano

Nell’arco di tre anni, in un percorso che mi porta da stagista a direttrice, racconto delle difficoltà trovate nell’approcciarmi a un lavoro totalmente nuovo e sconosciuto, del rapporto con i colleghi e, soprattutto, a descrivere i personaggi strani che ho incontrato, che mi hanno dato lo spunto per riorganizzare tutte le note e gli appunti che avevo raccolto nel tempo, quasi per gioco. Ho terminato la stesura del romanzo in forma diaristica già due anni fa, sottoponendolo per divertimento ad amici e parenti, soprattutto ai miei ex colleghi, che avrebbero ritrovato tra le pagine episodi e personaggi realmente accaduti ed esistiti, rispettivamente. Sarebbe stata un’occasione per rivivere insieme dei ricordi piacevoli e in seguito mi sono resa conto che avrebbe potuto rappresentare un’occasione per informare, introdurre e avvicinare futuri giovani receptionist a questa professione, nonché per divertire gli attuali receptionist, che si sarebbero riconosciuti nelle esperienze e nelle sensazioni che si vivono e che si provano in questo meraviglioso settore.

“La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il biglietto.”

Charles Bukowski

“L’amore chiama col 4888… e io sono sempre senza credito” di Michele Piccolo

Presentato il 27/09/2018, alla Feltrinelli Point di Pomigliano D’Arco (NA), il libro di Michele Piccolo “L’amore chiama col 4888”.

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Trama:

Stefano ha ventotto anni e vive a Sant’Anastasia, un paese in provincia di Napoli ai piedi del monte Somma. È una personalità speciale, anche se lui si definisce un coglione, con un futuro non proprio roseo e poca volontà di riscatto. Nato con la “camicia”, per un grave errore fatto dieci anni prima si ritrova adesso a doversi dividere dall’essere sarto di mattina e batterista di sera. Vive con Piermatteo, un grande amico che sarà il suo ironico angelo custode. Si innamorerà ed avrà una strana ma intensa storia d’amore con Claudia, una insegnante di ventuno anni più grande, che lo porterà in poco tempo a cambiare, credere di più in se stesso e ad essere abbandonato misteriosamente per la seconda volta nella sua vita. Il protagonista si divide tra le proprie sfortunate vicende sentimentali e la costante introspezione psicologica. Tenero, empatico e sincero, una commedia brillante, ma altamente comune, motivo per cui diventa una storia nella quale è facile immedesimarsi.

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L’amore chiama col 4888

L’autore:

Michele Piccolo (Napoli, il 26 dicembre del 1986), vive a Sant’Anastasia (NA). Si è sempre contraddistinto per le sue scelte, che vanno contro sua ogni predisposizione, tanto che è diplomato Istituto Tecnico Industriale e di professione impiegato nel settore aeronautico. Calciatore in serie minori ed allenatore di una squadra juniores, da tre anni scrive poesie che pubblica sulla propria pagina Facebook “Michele Piccolo” e che iscrive a vari concorsi in giro per l’Italia. Prevalentemente distratto, imbranato, autoironico e pungente, si definisce un quasi ex sognatore. Nel 2017 la prima esperienza editoriale, partecipando a due raccolte di poesie con la casa editrice Limina Mentis e una segnalazione di merito al Concorso Nazionale Festa dei Popoli di Aversa (CE). Nel 2018 invece, secondo classificato al Concorso Letterario “Parole e Poesia” di Formigine (MO) vincendo una pubblicazione di un libro, ossia la sua prima raccolta di poesie – “Dovrei dormire di più ed immedesimarmi di meno” (Edizioni il Fiorino). Finalista al premio letterario “Una città che scrive 2018” di Casalnuovo di Napoli, segnalazione di merito al Concorso Nazionale “Dino Sarti 2018” di Bologna ed al Concorso Nazionale “Poesie d’Amore” di Torino. “L’amore chiama col 4888 (e io sono sempre senza credito) è in assoluto il suo primo romanzo.

“Racconti Napoletani… tinti di giallo” di Bruno De Vito

In un saggio di Alberto Moravia si parla della differenza tra romanzo e racconto; il saggio si intitola “L’uomo come fine”. La principale differenza consiste nel fatto che il romanzo ha bisogno di un’ossatura, il racconto invece no! Ecco perché questo mio tentativo di narrazioni “tinte di giallo” rimarrà per sempre nell’ottica del racconto, perché esse si svolgono nell’arco di un tempo ben definito, ragionevolmente breve. Il racconto e la novella hanno però un vantaggio, proprio per la loro brevità: devono quasi sempre possedere una trama, senza tediare con pagine prolisse, e non possono dissimulare dei lunghi “diari” o “memorie” fatti passare per romanzi, di cui è piena la nostra letteratura italiana e straniera! Il primo dei racconti è ambientato nella Napoli moderna, nella vita borghese amorale e viziosa. Il secondo si svolge a Ischia, tra Casamicciola e Sant’Angelo, e tratta di giovani oziosi e di ambienti camorristici. Il terzo ci porta indietro nel tempo, alla fine del 1400, all’epoca degli Aragonesi a Napoli e del poeta Giovanni Pontano e trae spunto dall’episodio storico del “pozzo di S. Sofia”. Il quarto si svolge intorno al famoso Palazzo Donn’Anna ed ai lidi circostanti. Infine, l’ultimo, ricalca un tratto del romanzo “Solo per caso”, teatralizzandolo e sviluppando maggiormente l’episodio del “Giallo d’autore”, attribuito a un poeta.

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Racconti Napoletani… tinti di giallo

 

La Resilienza

Con il termine resilienza si intende la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, è quindi una competenza chiave, che è possibile sviluppare attraverso l’apprendimento di tecniche professionali ed il potenziamento dei fattori personali per trasformare le circostanze avverse in nuove sfide alla propria esistenza.

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Secondo Boris Cyrulnik, psichiatra e psicanalista, docente all’Università di Tolone (Francia), la resilienza “è l’arte di navigare sui torrenti”. Un trauma sconvolge il soggetto trascinandolo in una direzione che non avrebbe seguito. Ma una volta risucchiato dai gorghi del torrente che lo portano verso una cascata, il soggetto resiliente deve ricorrere alle risorse interne impresse nella sua memoria, deve lottare contro le rapide che lo sballottano incessantemente. A un certo punto, potrà trovare una mano tesa che gli offrirà una risorsa esterna, una relazione affettiva, un’istituzione sociale o culturale che gli permetteranno di salvarsi. La metafora sull’arte di navigare i torrenti mette in evidenza come l’acquisizione di risorse interne abbia offerto al soggetto resiliente fiducia e allegria. Tale inclinazione, acquisita in tenera età, gli ha conferito un attaccamento sicuro e comportamenti seduttivi che gli permettono di individuare ogni mano tesa. Ma se osserviamo gli esseri umani nel loro “divenire”, constateremo che chi è stato privato di tali acquisizioni precoci potrà metterle in atto successivamente, pur con maggiore lentezza, a condizione che l’ambiente, consapevole di come si costruisce un temperamento, disponga attorno al soggetto ferito qualche tutore di resilienza. Il termine resilienza è stato mutuato dalla fisica per indicare “la capacità di riuscire, di vivere e svilupparsi positivamente, in maniera socialmente accettabile, nonostante lo stress o un evento traumatico che generalmente comportano il grave rischio di un esito negativo.(…) Certo, al momento del trauma, si vede solo la ferita. Sarà possibile parlare di resilienza soltanto molto tempo dopo, quando l’adulto, infine riparato, riconoscerà il trauma infantile subito. Essere resilienti è più che resistere, significa anche imparare a vivere. Purtroppo, costa caro”. Quando la ferita è aperta, siamo orientati al rifiuto. Per tornare a vivere, non dobbiamo pensare troppo alla ferita. “Con il distacco dato dal tempo, l’emozione provocata dal trauma tende a spegnersi lentamente lasciando nei ricordi soltanto la rappresentazione del trauma.”

Leggiamo questo stralcio di testo, tratto dal libro di @DoraBuonfino, #Lemiepagliuzze:

“Finalmente, era venuto il tempo tanto desiderato di pensare ai miei sogni e decidere come condurre la mia vita. Lui ne era uscito ed io avrei potuto vivere senza altre interferenze, senza più timori, e chissà se dimenticare tutto mi avrebbe permesso di sopravvivere alla sensazione di pericolo ormai passata. Davanti mi si presentava la possibilità di non essere più sola, avrei accantonato le liti e le ripicche per i torti fatti o ricevuti. In fondo, i miei coetanei non mi erano del tutto indifferenti e il fatto che nessuno di loro si interessasse a me cominciava a stancarmi. Dovevo lasciare da parte le mie fobie e farmi conoscere sotto una nuova veste. Finalmente ero libera di decidere se rimanere in casa o uscire e, soprattutto, mi sarei potuta recare dalla nonna senza più timore. La voglia di solitudine stava scemando, lasciando il posto al desiderio di avere amicizie. Però, dove avevo scavato un fossato, non potevo pretendere di costruire un passaggio se non con lavoro, impegno e determinazione. La via per arrivare al riscatto si presentava lunga e complicata per gli ostacoli che io stessa avevo costruito, rifiutando a priori di concedere, o concedermi, ogni forma di opportunità. I miei compagni, infatti, faticavano a fidarsi del mio cambiamento disinteressato e testimone della mia resa incondizionata. Per troppo tempo avevo eluso la loro buona volontà ed ora si chiedevano il perché di tanta apertura. Mi imposi, quindi, la costanza dell’attesa e della pazienza, nel frattempo avrei osservato la loro maniera di rapportarsi e le loro idee e aspirazioni, convincendomi che il tempo avrebbe aggiustato tutto. Studiavo i miei coetanei non per copiarne la vita, ma per imparare da loro a vivere. Mi erano nuovi la musica che ascoltavano e i film che guardavano, i discorsi e la maniera in cui trascorrevano il tempo libero. Ne ascoltavo le parole, in silenzio, senza intromettermi, senza mostrare opinioni, e mi dissetavo delle loro emozioni, demolendo gradatamente il muro eretto a difesa delle mie, liberandole, finalmente, dalle catene della solitudine che tutto aveva oppresso e castigato…”

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“Le mie pagliuzze” di Dora Buonfino

“Due passi insieme” di Chiara Zammarchi

Dopo un viaggio si può tornare profondamente cambiati e, più spesso di quanto si possa pensare, riadattarsi nuovamente al solito stile di vita diventa impossibile. Non pochi sono i casi di persone che, dopo aver trascorso una vacanza indimenticabile, prendono la decisione irrevocabile di far ritorno in quel luogo appena visitato e decidere di trascorrervi il resto della propria vita.
Quante volte abbiamo accarezzato il sogno di dare una direzione diversa alla nostra vita?  E quante volte abbiamo abbandonato tale idea perché la ragione ha preso il sopravvento sull’istinto? Usiamo il termine “ragione” per celare la paura insita in ognuno di noi di deviare il percorso che abbiamo intrapreso e per non ammettere neanche a noi stessi di non avere il coraggio di metterci in discussione, di navigare verso un mare incerto e trasformare la nostra esistenza…

lacapannadelsilenzio.it

Due passi insieme finale

“Il trovarsi in un paese che non è il tuo ha un fascino che toglie il respiro, può regalarti attimi di un’intensità unica, pieni di emozioni. La voglia di conoscere qualcosa di nuovo e, a volte, totalmente differente da quello che pensiamo, inebria sempre il mio cuore. Mi sentivo più leggera e questo accrebbe le mie possibilità di riuscita. Ero carica di energie e riuscivo a sorridere anche in momenti difficili, come quando, arrivati alla fermata della metropolitana, incontrammo la nostra prima difficoltà. Non c’era l’ascensore e le scale mobili erano troppo strette per il nostro passeggino, quindi dovemmo sganciare i borsoni laterali, prendere in braccio Gioele e chiamare gli addetti della metropolitana per farci aiutare. Una volta usciti alla luce del sole, lo splendore di Madrid mi lasciò senza fiato, a cominciare dalla “Gran Vía” del 1910, che rappresenta l’emblema della città e che viene attraversata da un fiume di persone a qualsiasi ora del giorno. Un quartiere fuori dal tempo, che ospita cinema, teatri e i più grandi i negozi della capitale, oltre ad alcuni edifici emblematici e i primi grattacieli di Madrid. La bellezza di un viaggio è la scoperta di qualcosa di nuovo che nasce attraverso la conoscenza di un altro modo di vivere, di parlare, di sorridere e d’essere, mi piace assorbire le tradizioni e le sensazioni che trasmettono, sento la necessità di aprirmi al mondo e accogliere, sentire, la voce del cambiamento…”

Due passi insieme

“La bellezza della vita è riuscire ad ammirare e cogliere tutte le sfumature e le diversità che ci circondano. Ogni giorno andiamo incontro a mille cambiamenti e ci scontriamo con altrettante novità, così da ritrovarci in un luogo totalmente diverso da quello calcato il giorno prima e anche se tutto appare più faticoso, non dimentichiamo mai chi siamo e dove vogliamo andare, perché il mondo cambia in continuazione e quindi, anche il terreno che calpestiamo e tutto ciò che ci circonda”.

Chiara Zammarchi

 

13 libri da leggere sotto l’ombrellone

Tra un cocktail al tramonto, una playlist musicale e un tuffo al mare, trova anche il tempo per leggere…

Le Parche Edizioni

Libri sotto l'ombrellone

“Ritmi del Cuore” di Pictor Petrus (Pietro Scoppetta)

Oltre ad eccellere nell’attività pittorica, Pietro Scoppetta fu anche poeta. Sotto lo pseudonimo di “Pictor Petrus” pubblicò nel 1919 a Napoli la raccolta “Ritmi del cuore”. Il filone guida dell’opera è lo struggimento d’amore, riflesso letterario di un vero amore che l’artista coltivò in età già avanzata per una giovane allieva.

Amalfi, 15 febbraio 1863 – Napoli, 9 novembre 1920.

Dedicatosi inizialmente agli studi di architettura, li abbandonò per formarsi artisticamente sotto la guida di Giacomo Di Chirico. Residente a Napoli, a partire dal 1891, ebbe occasione di vivere in un clima di forti movimenti di evoluzione culturale, coincidenti con il mutare della fisionomia urbana a seguito del controverso Piano di Risanamento voluto dai Savoia. Da un lato, infatti, si assisteva alla creazione di nuovi quartieri abitativi e dall’altro alla costruzione di opere pubbliche di grande impatto, come la Galleria Umberto I e il Palazzo della Borsa. In questo contesto, Pietro Scoppetta si mosse abilmente, dando prova di grande talento soprattutto nella rappresentazione della natìa costa di Amalfi e della Valle dei Mulini. Con le sue opere partecipò a diverse esposizioni della Società Promotrice di Napoli. L’attività della città si esprimeva anche nella nascita di eleganti punti di aggregazione culturale, quali il café-chantant Salone Margherita e il Caffè Gambrinus, che divennero presto punti di riferimento della Belle Epoque napoletana. Proprio il Gambrinus gli fornì un’importante occasione per mostrare le proprie capacità, quando nel periodo 1889-1890 fu chiamato ad affrescarne le volte con altri pittori di punta dell’ambiente napoletano dell’epoca (Luca Postiglione, Vincenzo Volpe, Edoardo Matania, Attilio Pratella, Giuseppe Alberto Cocco, Giuseppe Casciaro, Giuseppe Chiarolanza, Gaetano Esposito, Vincenzo Migliaro, Vincenzo Irolli e Vincenzo Caprile).

Come altri artisti precedenti e contemporanei, che accanto all’attività pittorica principale svolgevano una professione alternativa, lavorò come illustratore per le riviste la “Cronaca partenopea”, “La tavola rotonda” e “l’Illustrazione Italiana”, operando alle dipendenze della casa editrice Treves. Nonostante il successo commerciale e di critica che lo portò ad avere in qualità di estimatori delle sue opere il Re Umberto I e il Principe di Sirignano, Scoppetta decise di lasciare l’Italia alla volta dell’estero e soggiornò a lungo a Londra e a Parigi. Nella capitale francese, dove dimorò tra il 1897 e il 1903, si inserì nella folta schiera di pittori partenopei, attratti dalle suggestioni borghesi della Belle Epoque, tra cui ricordiamo Lionello Balestrieri, Arnaldo De Lisio, Ulisse Caputo, Raffaele Ragione e Vincenzo La Bella, e entrò a far parte del filone di artisti italiani filoimpressionisti, dei quali fu grande precursore Giuseppe De Nittis. Dall’esperienza francese trattenne elementi importanti dell’impressionismo, che fece confluire e amalgamò nella sua tecnica pittorica con le tinte vivaci della scuola napoletana. Il periodo parigino vide anche un netto cambiamento dei soggetti dei suoi dipinti. Abbandonate, infatti, le rappresentazioni paesistiche che ne avevano caratterizzato la carriera precedente, si rivolse alla rappresentazione della vita borghese, nella quale individuava gli elementi di ottimismo e di tensione al futuro che più si addicevano alla sua indole. Dopo il 1910 lasciò Parigi per Roma, dove frequentò a lungo l’abitazione dell’amico Pietro Carrara e di sua moglie, la marchesa Maria Valdambrini. Alla sua morte, la Biennale di Venezia del 1920 gli dedicò una sala personale dove furono esposti trentacinque dipinti.

Ritmi del Cuore

Ritmi del cuore

Questa raccolta fu pubblicata nel 1919 dalla casa editrice “L’Editrice Italiana” di Napoli e il testo originale è conservato nella Biblioteca di Montevergine. L’editore dell’epoca, nella sua prefazione, scrisse:

“Dieci anni or sono, quando colui che mal si cela sotto il nome di Pictor Petrus aveva minor peso di anni e maggior messe di sogni, furono per caso scritti questi versi d’amore. Li ha tratti a viva forza l’editore, dalla polvere sotto cui l’artista seppellisce le tele sbiadite, ed eccoli a voi, o lettori, nella loro semplicità fine e sensibile. M’accuserà l’amico Petrus di furto? Prometeo per riscaldare gli uomini rubò ai numi il fuoco; per riscaldare il suo pubblico l’editore ha, senza rimorso, rubato quest’opera di poesia”. 

L’Editrice Italiana

Napoli – 1919

Intervista a Dora Buonfino

Intervista

Recensione per il libro di Dora Buonfino

Cristina Scarfò, che ha letto il libro “Scrivo per te” di Dora Buonfino, ha voluto lasciarci la sua personale recensione in merito e vogliamo condividerla con voi:

“Queste storie sono belle, ognuna in modo diverso. Le ho assaporate, mi sono piaciuti i finali un po’ a sorpresa. I protagonisti sono un po’ troppo fortunati, mi viene quasi da protestare che nella realtà non si è così fortunati, ma penso non si debbano leggere come storie realistiche. Se abbandono per un attimo il criterio di veridicità che tendo ad attribuire a tutto quello che leggo, e provo a leggerle come fantasie o sogni d’amore, magari immaginati dai protagonisti stessi, riesco a farmi coinvolgere senza invidiarli troppo. Sono storie che lasciano un senso di dolce-amaro: tutto dipende dalla prospettiva in cui scegliamo di porci, se vogliamo lasciarci andare a crederci oppure no. La sensazione che ho provato leggendo è stata di voler essere una di quei protagonisti. Il motivo non è semplicemente il lieto fine (vero o immaginario? La risposta ha più fascino se resta velata), che giunge come un premio alla tenacia di chi sa cosa vuole; non è solo per questo. È perché i personaggi di Dora possono essere uomini o donne, voci adolescenti o adulte, ma tutte hanno qualcosa in comune: provano sentimenti veri, autentici, che non sanno dissimulare e che proprio per questo li nobilitano. In un mondo di apparenze, loro non sanno mentire, non riescono a nascondere le emozioni, i sospiri, le vampate che li percorrono, perché in fondo non vogliono farlo. Fingere sarebbe più comodo, più rassicurante sarebbe l’inazione, ma dentro di loro c’è un istinto più saggio che sa cosa farà la loro felicità: e scelgono di lasciarsi guidare da questo impulso e rischiano di sembrare ridicoli, patetici, maniaci, avventati… di comparire nudi e inermi, con la loro semplice verità, davanti alla persona che amano. Il modo in cui si dichiarano è un piccolo atto eroico perché è un modo semplice, netto e inequivocabile di comunicare. Questi personaggi non hanno malizia, dicono esplicitamente «Guardami!»oppure «Sì, è vero, correvo per te», o a volte non dicono niente, lasciando che i gesti parlino per loro. È un modo di comunicare che mi fa pensare a quello così chiaro e preciso che ammiro nei bambini, che non hanno ancora imparato le bugie e i giri di parole dietro cui si nascondono gli adulti. È questo che rende questi personaggi così nobili ai miei occhi, e che mi fa desiderare di essere una di loro, capace della loro sincerità disarmante, che puntualmente conquista i loro amati… Anche se forse è soltanto un loro sogno.”

Cristina Scarfò, 12 ottobre 2016

Scrivo per te – Dora Buonfino

Come inventarsi un personaggio.

Per essere scrittori è fondamentale avere molta fantasia e soprattutto avere una mentalità molto aperta. Gli aspiranti scrittori in cerca di relazioni uniche con i loro lettori, desiderano ottenere il massimo sotto diversi punti di vista e per questo è fondamentale a creare un personaggio, definendo la scena iniziale. Considerate il fatto che il personaggio deve essere da qualche parte, quindi che sia una città europea, italiana o estera, la scena deve approfondire al meglio la storia del personaggio, altrimenti senza di essa non si farà nulla in alcun caso. Al secondo posto vi consigliamo per la creazione del personaggio, di basarvi su di una storia enorme e molto vasta, dove avrete bisogno di scegliere una vasta serie di personaggi, con caratteristiche diverse, oppure se optare per un racconto dove non è necessario avere più di un personaggio singolo.
Dopo aver fatto questa importante scelta, assicuratevi di pensare in maniera creativa, infatti, dalla prima cosa che viene in mente ovvero il personaggio, dovrete inventarvi qualcosa di unico e originale per attirare l’attenzione dei lettori. Non è nemmeno detto che un personaggio deve essere umano, pensate al libro di Hemingway: “Il vecchio e il mare”, uno dei protagonisti è un pesce spada e non una persona.
Per iniziare al meglio il vostro racconto, basatevi immediatamente su un archetipo, tutto quello di cui avete bisogno dipende direttamente dalla vostra storia. Quindi partendo da un concetto ampio, potrete prendere delle decisioni che cambieranno il mondo del vostro personaggio, fino a quando tutto il resto sarà superfluo e si dovrà viaggiare con la mente.
Oltre che scrittori, dovrete sentirvi come scultori che eliminano il marmo in eccesso, in questo modo potrete svelare a tutti i lettori quello che si nasconde dietro di voi. Che cosa desiderate veramente? Un protagonista che sia l’eroe della situazione o un cattivo di turno? La storia potrebbe essere resa ancora più interessante includendo tanti eroi, amici che tradiscono, femmine che fanno le false. Pensate ad ognuno di questi personaggi nella vostra storia, la fantasia ha creato degli archetipi e il loro carattere è stato formato in base allo sviluppo della storia. Come avviene in ogni racconto, non vi stancheremo mai di dirvi che è fondamentale aggiungere caratteristiche specifiche. Quindi tratti somatici, carattere, dimostrate che il vostro personaggio sia capace di mostrarsi come una scultura nascosta nel marmo, a questo punto pensate a cosa volete ottenere, e pubblicate quello che vi piacerebbe anche leggere.
Quali sentimenti dovranno trasparire? Amore, Pena? Repulsione o compassione? Iniziate da questo e potrete valutare se il vostro personaggio debba essere uomo o donna, questa scelta è molto importante perché tutto si baserà sul conflitto tra il personaggio e la storia. Se avete costruito un ragazzo arrogante, la donna dovrà avere un carattere completamente diverso.
Inoltre anche l’età è un punto molto importante, perché più vecchio sarà il personaggio e maggiori caratteristiche di fascino dovrà portare con se. Un giovane ladro non dovrà affascinare particolarmente il pubblico, ma il vecchio saggio, anche se malvagio, dovrà dimostrare una certa esperienza alle spalle.
Pensate anche alla possibilità di creare dei personaggi che possano essere contraddittori tra di loro, magari malati di bipolarismo e interessanti da conoscere proprio per questo motivo. Alla base delle avventure d’amore e di guerra o di altro tipo, scegliere il tipo di personaggio è molto importante, quindi prendetevi tutto il tempo che vi serve e scoprite il meglio della vostra fantasia.

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