Mese: settembre 2017
Lariulà – Tarantella per Piedigrotta, da “Festa notturna” di Antonio Orselli
Il libro di Antonio Orselli, “Festa notturna” pubblicato il 18/09/2017, offre spunti interessanti e inediti sulla Festa di #Piedigrotta e, in questo post, vi facciamo leggere uno stralcio di testo riguardante la “Tarantella”, un ballo con una gestualità carica di erotismo:
[…] come si può riscontrare oggi in alcune zone del beneventano, dell’avellinese, del casertano e del Cilento, la tarantella può essere eseguita anche in coppia, da danzatori che eseguono un ballo, nel quale appare evidente una gestualità carica di erotismo. È probabile che sotto questa forma, a Napoli, essa abbia svolto, in passato, la stessa funzione che, oggi, assume in provincia la tammurriata, come sembrerebbe alludere l’immensa iconografia pervenutaci. Nella città, il ballo (sia tarantella, che danza sul tamburo) è scomparso almeno dalla fine degli anni ’50, dove proprio nella Piedigrotta, pur se nei festeggiamenti esterni, e a Grotta chiusa oramai da decenni, come si diceva, ancora veniva eseguito da gruppi di festeggianti legati alla Tradizione, provenienti dalle zone interne della regione e non solo da quelle. Non mancano però testimonianze, su una danza denominata tarantella che in passato, nella città, si presentava nelle sue componenti collettive e rituali. Diversi documenti ci raccontano come nella Napoli del Vice Regno spagnolo, fosse ballata una danza, così chiamata, nella festa notturna di San Giovanni a Mare, dove accompagnava dei rituali esplicitamente licenziosi. Pare che, durante la notte del 24 giugno, si accendessero dei grandi falò, dove il popolo vi si raggirava d’intorno con osceni balli, di poi, allere e senza panne, come ci dice il poeta cinquecentesco Velardiniello, si facevano il bagno nell’acqua del mare. Una siffatta manifestazione fu più volte proibita, fino a che non si eliminò del tutto intorno alla prima metà del XVII secolo. In forme apertamente erotiche, alcune danze si sono potute riscontrare nella Napoli di fine ottocento e oltre… […]
“Festa notturna” di Antonio Orselli
Anton Smink Van Pitloo e la Scuola di Posillipo
Nato ad Arnhem nel 1790, Anton Smink Van Pitloo, conosciuto in Italia come Antonio Pitloo, dopo aver frequentato la scuola d’arte nel proprio paese natale si trasferì prima a Parigi e poi a Roma. Nella capitale francese conobbe Jean-Joseph Xavier Bideau e Jean Victor Bertin grazie ai quali decise di dedicarsi alla descrizione del paesaggio piuttosto che all’architettura, con cui aveva iniziato. Nella città romana approfondì il “vedutismo”, genere pittorico che aveva per soggetto vedute prospettiche di città o paesaggi. Ma la svolta arrivò quando nel 1815, al seguito del diplomatico russo, nonché estimatore d’arte, Gregorij Orlov, si trasferì a Napoli, dove rimase fino alla fine della sua vita. La città partenopea fu indispensabile a Pitloo per affinare la propria tecnica pittorica e approfondire la ricerca cromatica e atmosferica iniziata già dai paesaggisti nordici Corot e soprattutto William Turner, autore romantico che realizzò lo splendido “Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi”. Ma perché proprio Napoli? Terra e mare, coste e isole. Rovine antiche come Pompei, Ercolano, Paestum e nobili fortezze come Castel dell’Ovo. Miti e leggende, palazzi, monumenti e oasi verdi. Campagne e soprattutto l’onnipresente ombra del Vesuvio. Qui, un paesaggista aveva tutto ciò che poteva desiderare. A partire dal 1820 Pitloo fondò la “Scuola di Posillipo”. I più importanti pittori di vedute dell’epoca, circa una quarantina, illustrarono tra il 1820 e il 1860 le bellezze del paesaggio campano, non solo luoghi, ma anche costumi e tradizioni. Le opere realizzate in questo periodo furono esposte nei salotti delle case borghesi e la loro influenza sulla pittura italiana proseguì per tutto l’Ottocento, finendo per imitare le prime fotografie e cartoline postali. Hippolyte Taine, filosofo e critico letterario francese, scrisse in una sua lettera che percepiva la bellezza di Napoli più attraverso le vedute della “Scuola di Posillipo” che dalla realtà. Nonostante le riunioni di questi artisti avvenissero nello studio di Pitloo, il suo principale insegnamento riguardò la pittura “en plain air”, opposta alla visione accademica del paesaggio. Massimo rappresentante di questa Scuola fu Giacinto Gigante, al quale si devono paesaggi ad acquerello particolarmente intimisti e malinconici. Nel 1824 Pitloo vinse, grazie al “Il boschetto Francavilla al Chiatamone”, il concorso per succedere alla cattedra di Paese dell’Accademia Borbonica di Belle Arti, nata per la prima volta in Italia. Un olio di 44 per 75 centimetri, dall’inquadratura del tutto insolita in cui il pittore olandese rappresenta la campagna e gli edifici degradati come se mostrasse un paesaggio lirico ed emozionante. Più che le strutture che osservava, egli rappresentava nei suoi dipinti la magia che questi sprigionavano. Pitloo non abbandonò il capoluogo campano neanche quando scoppiò l’epidemia di colera di cui fu vittima nel 1837. Per gran parte della sua vita rese Napoli celebre nei suoi dipinti, a sua volta la città lo consacrò come grande autore di paesaggi adottandolo tra i propri figli illustri.
Tratto da: “L’arte a Napoli – La scuola di Posillipo” dell’Associazione Culturale “Terra Utopiam”, pubblicato da Le Parche Edizioni