Un omaggio alle mie radici e alle donne della mia terra… Maddalena Zullo

Articolo di Grazia Blasi su Clarus

Originaria di Alife, dopo gli studi liceali, Maddalena Zullo si laurea in Filologia moderna inserendosi poi nel mondo della Scuola senza mai tradire (anzi coltivando) la sua passione per la lingua, che in  Terra Viva diventa il filo conduttore di tutto il racconto, “confessato” nelle prime pagine, poi rivelato dalla narrazione nella sequenza dei fatti, del parlato, dell’accaduto. Una continua immersione nella storia che diventa immersione in se stessa, come in un embrione di valori, di accadimenti, di fatti da cui lei si è allontanata geograficamente ormai da qualche anno per aver scelto di lavorare e di costruire una famiglia lontano da questa terra viva. La riflessione sulla lingua procede di pari passo con quella sulla condizione della donna che per l’autrice assume i toni non soltanto di un impegno letterario ma anche sociopolitico tanto da ricoprire nel suo comune di residenza a Fino Mornasco (CO) il ruolo di referente per le Pari opportunità “un’occasione – spiega lei – per stare dalla parte delle donne anche con i fatti, oltre che con una riflessione su dolori e conquiste”.

Il romanzo, edito dalla casa Le Parche Edizioni, è ispirato dai racconti della nonna paterna di cui Maddalena ha raccolto la voce, poi tradotta nelle forti immagini che ci restituisce oggi la sua penna, abile, emotivamente coinvolta, lucidamente cosciente di “fissare” la Storia.
Forza, estrema pazienza, accettazione del dolore e del destino, esperienza del male nella commistione tra religiosità e credenze popolari…sono le origini che l’autrice racconta e di cui lei, ancora giovane, ne riconosce il valore universale, identificandosi in esse e cogliendo nel microcosmo raccontato un universo femminile identico o sovrapponibile a tanti altri, ma sempre generatore di virtù e diritti.
La scelta di lasciare il Sud, e di ritornarci attraverso queste pagine, per Maddalena Zullo ha significato un percorso interiore di “ritorno alle origini”.
“Per me che mi sono sempre definita senza origini, questo lavoro ha rappresentato un ritorno alla mia vera essenza, alle mie radici, perché è quel tipo di donna mi ha educata”.
Per l’autrice, la narrazione di Terra Viva diventa visione allo specchio di se stessa, di ciò che si diventa negli affetti, nel lavoro, negli hobbie, a partire da un nucleo fondante di valori che – nel bene e nel male – inaspettatamente germogliano dentro. “Quell’anelito alla libertà che comunque quelle donne hanno avuto anche io l’ho avvertito in me, sentendomi – rispetto a loro – privilegiata nell’aver potuto scegliere che orientamento dare alla mia vita.”

Articolo sulla testata giornalistica online Clarus della Diocesi di Alife – Caiazzo

Terra Viva – Sotto una buona stella, nasce dalla voglia di testimoniare uno spaccato del Mezzogiorno e la vita delle sue donne tra gli anni venti fino al 1945, ancor prima di molte battaglie che hanno garantito a tutte loro, in Italia, diritti e parola: “ho sempre riflettuto molto sulla storia della donna; ho scelto quel modello e quel momento storico perché ho voluto pensare che in quel tempo sono nati i primi germogli dell’ideale di libertà…”. Sono le parole dell’autrice, Maddalena Zullo.

Misso: a Napoli baby boss manovrati dalle più potenti famiglie di camorra

L’ex padrino della Sanità oggi è un pentito: «Licciardi, Moccia, Contini e Mallardo sono
le cosche più influenti d’Italia». La situazione al rione Sanità? «Non è cambiato nulla»

di Fabio Postiglione

 NAPOLI _ «I boss non hanno onore, la camorra non ha valori. I ragazzi di oggi, quelli che ammazzano per tutta la città, che organizzano le stese sono manovrati dai clan che così fanno i loro affari più grandi in silenzio. A loro dico di affidarsi allo Stato: la carriera nella malavita porta alla galera o alla morte». La sua voce è profonda, accenna un sorriso sul volto quando parla ma è segnato dagli anni bui nei quali ha vissuto, gli piace sognare anche se vive di rimpianti. Legge di filosofia e adora le autobiografie.

«Se ripenso alla drammaticità della vita del dottor Semmelweis, il libro scritto da Céline, al suo gesto estremo al termine del romanzo, mi vengono i brividi. Credo sia come la mia vita». Parla di morte e di vita, di cultura e degrado. Dietro agli occhiali scuri ha occhi verdi e profondi. «Avrei voluto fare lo scrittore». A parlare è Giuseppe Misso detto ’o nasone” , per quattro decenni il capo incontrastato della camorra di Napoli. Uno dei boss più influenti d’Italia che preferisce essere appellato come fuorilegge e non come capoclan. Adesso è un collaboratore di giustizia e vive in una località protetta perché, se potessero, i boss lo ammazzerebbero subito. Ha ricostruito omicidi, ha fatto i nomi di migliaia di affiliati, svelato gli affari di uomini che hanno riciclato i soldi della camorra in ristoranti, aziende, ospedali, di politici e imprenditori corrotti, e di se stesso ha detto tutto ciò che poteva dire: «La verità assoluta».

Chi era Giuseppe Misso?
«Un prelevatore scambiato per boss. Io e i miei uomini facevamo dei “prelievi forzati” a banche e uffici postali: rapine e assalti a caveau. Ho iniziato con i furtarelli a 14 anni e negli anni Settanta ero diventato un nome a Napoli. Gli assalti della banda del buco erano diventati la mia specialità».

Chi è oggi Giuseppe Misso?
«Uno scrittore, forse. Una persona che vive nell’amarezza per il male che ha fatto a se stesso e a quelli che gli volevano bene e che spesso prova rimpianto per il tempo sprecato. In tutto sono stato 32 anni in carcere».

Cos’è la camorra?
«Non si può rispondere con una battuta a una domanda così importante e complessa. La camorra è un problema sociale è una questione mentale. Non si è camorristi solo quando si ammazza qualcuno, ma si è camorristi anche nella prepotenza di tutti i giorni, nell’arroganza, nella prevaricazione. Vai a prendere un caffè e non paghi? Sei un camorrista. A Napoli la camorra affonda le proprie radici in un contesto sociale degradato. A Milano sarebbe molto più difficile, per non dire impossibile, diventare un camorrista: non c’è il terreno fertile che si trova qui da noi».

Perché adesso comandano i ragazzini?
«Ma voi veramente credete che comandino i ragazzini a Napoli? Questa è l’opinione dominante solo perché questi ragazzi fanno molto rumore con i morti ammazzati, con le stese , ma la realtà è un’altra. La realtà è che questi ragazzi, sebbene inconsapevoli, vengono manovrati, gestiti dalla camorra che, spostando l’attenzione sui ragazzi, fa i propri affari in silenzio: e parliamo di traffici milionari di droga. È la camorra che ha creato questo fenomeno e ne ha approfittato. I Licciardi, i Moccia, i Contini, i Mallardo, solo per fare alcuni nomi: sono loro le cosche più influenti d’Italia. Hanno soldi che, se volessero, a questi ragazzini li farebbero sparire nell’acido in 24 ore e invece non lo fanno».

Al rione Sanità, il quartiere dove lei era il boss, ci sono sparatorie che terrorizzano i residenti. Un diciassettenne è stato ucciso per errore, un altro ha fatto la stessa fine a Forcella. Cos’è cambiato nella mentalità dei nuovi camorristi?
«Non è cambiato niente, la violenza è sempre la stessa, con alti e bassi, con qualche strisciata di droga in più o in meno. I boss non hanno onore e mai lo avranno. Così come la mafia. Chi uccide per soldi, per interessi, per droga non ha onore. Chi è un camorrista non ha onore. Non lo avevano prima e non lo hanno adesso. Quindi non è cambiato nulla».

Lei si sente in grado di lanciare un appello ai ragazzi che in questi giorni seminano il terrore a Napoli?
«Io dico a questi ragazzi di smettere di drogarsi e di non ammazzarsi in nome e per conto della droga. Consiglio loro di riprendere a sognare, di ritornare alla vita, di rivolgersi alle istituzioni, per essere aiutati con i fatti. Questa strada ha solo due punti di arrivo: la galera o la morte».

Li invita a deporre le armi o a pentirsi?
«Chi dovrebbe pentirsi per prima sono tutti quei politici corrotti che si sono mangiati la città, responsabili del degrado mentale e ambientale, della terra dei fuochi, del disagio sociale nel quale vivono interi rioni, della mancanza di scuole e di associazioni».

Lei aveva proibito nel suo quartiere l’uso di droga, perché?
«Negli anni Ottanta noi della banda Misso, eravamo dei prelevatori, dei commercianti prestati alla malavita, e imponemmo a noi stessi di proibire i traffici e la vendita di droga, ma allora lo potevamo fare perché guadagnavamo tanto con le rapine, con il lotto clandestino, con il contrabbando di sigarette e appunto con il commercio, anche di prodotti falsi. Quando sono uscito, dopo 14 anni di carcere, non c’erano più queste entrate e quindi dovetti adeguarmi al nuovo mercato e diedi l’assenso ai traffici e la vendita di solo marijuana e cocaina, ma io non ho mai voluto percepire un centesimo da queste entrate così come non ho mai tollerato che si facessero estorsioni ai bottegai, ai commercianti».

La camorra può essere sconfitta?
«Certamente che può essere sconfitta, ma non solo con la repressione. Innanzitutto con la cultura, che è la base fondamentale per la vita. Nelle carceri i detenuti dovrebbero studiare. La pena deve essere lo studio: storia, filosofia, arte, matematica. Bisogna rifondare i loro valori, provare a tendergli una mano e dare a tutti la possibilità di realizzare i propri sogni».

Perché ha deciso di pentirsi?
«Io non mi sono pentito affatto perché non ho niente di cui pentirmi. Era una guerra quella che combattevo, non la faceva di certo per conquistare una piazza di spaccio ma per qualcosa di diverso. Ed essendo stato in guerra ci sono stati morti da una parte e dall’altra. Diverso dal pentimento è il ravvedimento, ossia la critica dei propri valori e dei propri gesti, e questo appartiene alla sfera dell’intimo individuale, dove a nessuno è consentito di entrare».

Di quanti omicidi è responsabile?
«Tanti, tantissimi, ma non voglio quantificarli perché sarebbe un’offesa a chi non c’è più. I morti non sono numeri. Ho iniziato la mia guerra contro i Giuliano quando cominciarono a chiedere il pizzo nel mio quartiere. Ho ucciso tre persone perché volevano che io chiudessi la sede del Movimento sociale italiano. Poi ho continuato per vendetta. Hanno ucciso mia moglie e i miei compagni ed io mi sono vendicato».

Ha raccontato tutto ciò che sapeva?
«Che uomo sarei se avessi mentito? Io nella mia vita non l’ho mai fatto. Ho raccontato tutto con estrema serietà».

Ha scritto un libro nel 2003, i Leoni di Marmo, perché?
«Era la mia storia, per quel che può valere, è unica nel suo genere, e ho creduto mio dovere divulgarla. Ho scritto tutto, anche della strage del treno 904. Prima votavo Msi perché pensavo che potesse fare qualcosa per la mia città e il mio rione: adesso si vive in una desertificazione di sentimenti e passioni forti. Ma non mi sono fermato. Ne ho scritto un altro di libro: “Il Chiarificatore” (che uscirà ad ottobre, Le Parche edizioni). È la storia di quello che mi è accaduto in questi anni. Tutto ciò che occorre sapere di me e della mia storia. Tutto».

Se potesse riprendere in mano la sua vita e riportarla a quando aveva 14 anni cosa farebbe?
«Studierei. Volevo essere uno scrittore».